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Francis Lee • Regista

“Volevo misurare l’impatto emotivo che l’innamoramento ha su di noi”

di 

- Incontro con il regista britannico Francis Lee, il cui lungometraggio d’esordio, La terra di Dio, è stato proiettato al Transilvania IFF, dopo il successo al Sundance e a Berlino

Francis Lee  • Regista
(© Nicu Cherciu / TIFF)

Il regista britannico Francis Lee è nato in una fattoria a conduzione famigliare, nello Yorkshire occidentale. Ha lavorato come attore per molti anni in teatro, al cinema e in televisione, e ha inoltre diretto tre cortometraggi. Lo scorso gennaio, ha presentato in anteprima al Sundance il suo primo lungometraggio, La terra di Dio [+leggi anche:
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intervista: Francis Lee
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, vincendo il premio per la Miglior regia nella sezione dedicata ai film drammatici internazionali. Il cineasta ci ha raccontato del suo film, parzialmente ispirato alla propria esperienza nella fattoria di famiglia, e attualmente presente al Transilvania International Film Festival

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Cineuropa: Spesso, quando in un film dei personaggi omosessuali assumono un ruolo importante, il tema dell’accettazione della propria sessualità acquista rilevanza. Perché questo non accade in La terra di Dio?
Francis Lee: Sapevo di non voler realizzare un film sul coming out. Quello che volevo davvero era misurare l’impatto emotivo che l’innamoramento ha su di noi, e se siamo in grado di aprirci sufficientemente all’amore e alla possibilità di essere amati, oppure no. Questa è stata la mia personale esperienza e la cosa più difficile che abbia mai fatto: accettare di essere una persona vulnerabile e di essere capace di innamorarmi. Le storie di persone che dichiarano la propria omosessualità sono molto presenti al cinema e io desideravo guardare altrove.   

Anche se i due protagonisti non parlano molto del loro passato, si intuisce che provengono da contesti difficili. Qual è stato il processo creativo compiuto con gli attori per raggiungere questo risultato?
Tre mesi prima delle riprese, ho iniziato a lavorare con Alec e Josh, e abbiamo cominciato a costruire i personaggi da zero, dalla loro nascita fino al momento in cui li vediamo nel film per la prima volta. Abbiamo parlato di tutto: la loro educazione, le loro famiglie, i loro amici, le loro esperienze…Quindi, quando abbiamo concretamente iniziato a lavorare alla pellicola, i due conoscevano già questi personaggi alla perfezione, ed erano capaci di far emergere tutto ciò nelle loro performance. 

Il film è girato in maniera particolare, con la cinepresa sempre molto vicina agli attori. Come ha lavorato con il direttore della fotografia per ottenere questa sensazione di prossimità?
Non sono mai stato un grande fan dei dialoghi nei film: mi piace raccontare una storia attraverso le immagini. Quando ho iniziato a collaborare con il direttore della fotografia, Joshua James Richards, abbiamo subito scoperto che a entrambi piaceva l’idea di tenere la cinepresa vicina, l’idea di vedere questo viaggio attraverso lo sguardo dei due ragazzi. Sul set, abbiamo girato qualche inquadratura larga, ma ogni volta io e Joshua ne discutevamo e non sapevamo dire perché avevamo ripreso in campo largo. In fase di montaggio, con il montatore Chris Wyatt, è parso evidente che tutti eravamo d’accordo nel procedere esclusivamente con le inquadrature ravvicinate. Volevo offrire allo spettatore un’immersione totale.

Un altro elemento che accentua questa immersione è l’uso dei suoni e della musica. Come è stato concepito?
Sono un regista molto preciso e meticoloso, e il suono è per me molto importante. Abbiamo costruito un paesaggio sonoro dal nulla: abbiamo sviluppato alcuni suoni del vento, che rappresentano certi personaggi, e quelli degli uccelli, che sono molto metaforici e sono stati scelti in modo accurato. Ogni cosa contribuisce ad enfatizzare questo senso di immersione e l’alienazione del personaggio principale. Volevo che il film avesse meno musica possibile, quindi abbiamo lavorato con attenzione con i compositori e abbiamo trovato qualcosa che aggiungesse un tocco delicato al senso dello spazio.  

Il film affronta anche i temi della xenofobia e del razzismo. Voleva affermare una posizione politica concentrandosi su queste tematiche?
Non esattamente. Per il personaggio di Gheorghe mi sono ispirato a qualcuno con cui ho lavorato. Mentre stavo sviluppando il film, ho lavorato in una discarica per guadagnare qualche soldo. Uno dei ragazzi con cui lavoravo era un immigrato rumeno arrivato nel Regno Unito per trovare un’occupazione e migliorare la propria vita. Sono rimasto davvero scioccato e mi sono vergognato quando ho appreso la sua storia. Sapevo che l’estraneo della fattoria doveva essere un lavoratore migrato dalla Romania, e quando Gheorghe percepisce questo ambiente xenofobo, volevo che ciò avesse un impatto su di lui a livello emotivo più che politico.

Sta già lavorando al suo prossimo film?
Attualmente sono impegnato su un progetto che è in fase di scrittura. Spero di poterlo girare l’anno prossimo, possibilmente, ma non posso dire molto di più.  

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(Tradotto dall'inglese)

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