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Edouard Waintrop • Delegato della Quinzaine des réalisateurs

"Assistiamo in tutto il mondo a un’ondata neorealista"

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- Edouard Waintrop, delegato generale della Quinzaine des réalisateurs, fa un’analisi della selezione 2017

Edouard Waintrop • Delegato della Quinzaine des réalisateurs
(© Quinzaine des réalisateurs)

Ecco l’incontro con Edouard Waintrop, delegato generale della Quinzaine des réalisateurs, giunta alla 49° edizione, che si svolgerà dal 18 al 28 maggio durante il 70e Festival di Cannes (leggi l'articolo).

Cineuropa: Come ha composto questa selezione 2017?
Edouard Waintrop: Non partiamo con delle idee preconfezionate, scegliamo i film che ci fanno reagire, che ci colpiscono, che amiamo, e possono essercene 36 tipi diversi. Per esempio, non partiamo con l’idea di avere quest’anno una forte presenza del cinema statunitense a causa di Trump, ma può darsi che, per questa ragione, siamo stati più sensibili a ciò che abbiamo visto in alcuni film americani. Ci siamo inoltre resi conto che abbiamo molte opere che si potrebbero definire neorealiste: due dei film americani, i tre film italiani, i tre documentari e anche la pellicola lituana.

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Ha riaffermato il suo attaccamento alla commedia.
Quest’anno, se ne contano molte. Bisogna dire che non ci aspettavamo che Claire Denis dirigesse Un beau soleil intérieur [+leggi anche:
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, una commedia sul linguaggio e su come gli uomini cercano di assumere il potere nelle relazioni, attraverso la storia di una donna che vuole essere libera e che si ritrova faccia a faccia con una collezione di mascalzoni estremamente divertenti. Il film è una sorpresa formidabile, con degli attori in stato di grazia.

Con Otez-moi d'un doute [+leggi anche:
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di Carine Tardieu, ci troviamo di fronte alla commedia di una cineasta della quale conoscevo il valore, ma che non pensavo ancora arrivata a un tale livello di maturità, e la cui capacità di mettere in scena i sentimenti e le contraddizioni porta a situazioni grottesche e comiche, anche in questo caso con interpreti in ottima forma. Lo stesso documentario francese Nothingwood [+leggi anche:
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di Sonia Kronlund è una commedia. Pur essendo ambientato nel terribile scenario afgano, in mezzo alla guerra, il film parla di cinema e di come si fa cinema in un contesto simile. E quando vediamo il genere di film che realizza il personaggio di Nothingwood, non c’è posto per la tristezza!

Con Claire Denis, Philippe Garrel e Bruno Dumont, ha fatto il pieno di grandi nomi del cinema francese.
Quando ci si ritrova davanti a un opera così bella come L'Amant d'un jour [+leggi anche:
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, bisogna coglierla al volo. Quanto a Bruno Dumont, con Jeannette, l'enfance de Jeanne d'Arc [+leggi anche:
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intervista: Bruno Dumont
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egli segna una svolta molto radicale verso il musical. La fotografia è mozzafiato e ci sono dei momenti in cui veniamo trasportati in un altro mondo, con le apparizioni di santi totalmente stupefacenti. Sarà uno shock! Con Garrel e Dumont, abbiamo due artigiani del cinema che sono anche narratori di storie, e questo raddoppia la loro forza. E un onore averli alla Quinzaine!

Con tre film, l’Italia è ben rappresentata.
C’è un nuovo cinema italiano molto fecondo. E i tre cineasti presenti quest’anno, Jonas Carpignano con A Ciambra [+leggi anche:
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intervista: Jonas Carpignano
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, Leonardo Di Costanzo con L'intrusa [+leggi anche:
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e Roberto De Paolis con Cuori puri [+leggi anche:
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intervista: Roberto De Paolis
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, hanno tre profili molto diversi e tre stili molto personali, ma tutti e tre restano ancorati alla realtà. Assistiamo in tutto il mondo a una sorta di ondata neorealista, che si può ritrovare anche in The Nothing Factory [+leggi anche:
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intervista: Pedro Pinho
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del portoghese Pedro Pinho, che racconta le lotte operaie contro la delocalizzazione con una ricchezza cinematografica incredibile: il film comincia come poliziesco, ma vi si rintracciano toni intimi, politici, sociali, una virata verso la commedia musicale e altro ancora. Non ci aspettavamo nemmeno il lituano Sharunas Bartas sul terreno del neorealismo con Frost [+leggi anche:
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intervista: Sharunas Bartas
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, nel quale il tema della guerra viene affrontato come raramente ho visto, eccezione fatta per alcuni film americani, come quelli di Samuel Fuller.

Cosa può dirci rispetto al resto del cinema europeo?
Abbiamo visto dei film dei paesi nordici veramente buoni e un norvegese, uno svedese e un islandese sono stati sul punto di essere presi. Thierry Frémaux ha selezionato dei film tedeschi, ma non ce n’erano molti altri. Per la Spagna c’erano due pellicole interessanti, che tuttavia alla fine non abbiamo scelto. Quanto all’Inghilterra, anche lì ci sono molte opere interessanti, che però ugualmente non abbiamo preso.  

I rapporti con le altre sezioni cannensi sono stati tesi?
Ci facciamo sempre la guerra, ma quest’anno è andata piuttosto bene. Una delle qualità di Cannes, contrariamente a Berlino, in cui le sezioni sono molto articolate, è che ci muoviamo su terreni comuni, per cui dobbiamo batterci tra noi. Questo genera un’energia che altrove forse non c’è. Con Charles Tesson e la Semaine de la Critique, in generale, tutto va bene. Con il concorso ufficiale, ci sono dei film che Thierry avrebbe voluto e che sono andati a noi, e altri film che sono stati presi da Un Certain Regard e che avremmo voluto prendere noi. Fa parte del gioco, ma sul resto siamo andati d’accordo e abbiamo anche parlato di questioni generali riguardanti il Festival di Cannes. Perché ci sono anche dei problemi e dei nuovi è Netflix.

Qual è la sua posizione rispetto al tema delle piattaforme?
Non sappiamo troppo dove si sta andando e come trattare questo tema. Per il momento è meglio essere aperti. L’anno prossimo, se dovesse esserci un film formidabile di Martin Scorsese con Al Pacino e Robert De Niro che richiede di partecipare a Cannes, cosa faremo? Possiamo negoziare con Netflix? Perché oggi dicono "niente per i cinema", ma cosa diranno domani? Cosa possiamo non accettare in quanto prodotto da Netflix? Ho molto discusso con i cineasti americani fermamente contrari a Netflix, di cui non rivelerò i nomi per evitare che vengano messi su una lista nera, che ci spingono a essere molto radicali nei confronti della piattaforma. Ma quando selezioniamo un film che non è di Netflix, come era il caso di Bushwick quest’anno, e che prima della sua premiere a Cannes viene acquistato da Netflix, cosa dobbiamo fare? Chiedergli di andarsene?  

Soprattutto non si deve dimenticare che ciò che ha sempre funzionato, sono certamente dei cambiamenti di equilibrio, ma anche gli equilibri stessi. Come spettatori, avremo sempre bisogno di una sala, ma capisco anche che gli abitanti della campagna profonda non possano vedere certi film se non grazie a delle piattaforme. Occorre vedere come si evolverà la situazione, riflettere tutti insieme, restare equilibrati e soprattutto non inveire contro gli altri, perché questo potrebbe irrigidire le posizioni di una situazione già talmente mutevole, che è meglio essere fluidi. E se avremo uno spirito di resistenza, bisognerà essere più intelligenti, non irritarsi e magari densificare il momento che intercorre tra la presentazione di un film a un festival e quello in cui arriva su una piattaforma.

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(Tradotto dal francese)

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