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Fabrice du Welz • Regista

“Girare a Los Angeles è tutto un altro mondo”

di 

- Cineuropa ha incontrato al Festival Internazionale del Film Fantastico di Bruxelles il regista belga Fabrice du Welz, che ha appena concluso la produzione americana di Message from the King

Fabrice du Welz • Regista

Dopo due “piccoli” film realizzati in Belgio (il suo primo e il suo ultimo lungometraggio, Calvaire [+leggi anche:
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), l’esperienza dantesca all’altro capo del mondo con Vinyan [+leggi anche:
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, girato nella giungla tailandese, e l’incubo francese di Colt 45 [+leggi anche:
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Fabrice du Welz torna sul grande schermo con Message from the King [+leggi anche:
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, pura pellicola di genere per la quale il regista si è regalato qualche settimana di riprese a Los Angeles con dei produttori indipendenti e, in locandina, la Pantera Nera della Marvel Chadwick Boseman. Cineuropa ha incontrato il cineasta durante la presentazione del film al Festival Internazionale del Film Fantastico di Bruxelles.

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Cineuropa: Come è arrivato a questo progetto?
Fabrice du Welz:
È da tanto tempo che sono corteggiato dagli americani, che vorrebbero farmi realizzare dei remake di film d’orrore, ma ho sempre rifiutato…Qualche anno fa, David Lancaster, che era il produttore delegato di Bold Films (Drive, Whiplash, Lo sciacallo - Nightcrawler), mi ha proposto un progetto un po’ particolare, ma che non ha avuto seguito, in particolare perché David ha lasciato la Bold. È diventato produttore esecutivo per diverse società e ha ereditato questa sceneggiatura, che il mio agente, William Morris, mi ha sottoposto. Bisognava girare rapidamente, poiché l’attore principale Chadwick Boseman doveva liberarsi per poter incarnare la Pantera Nera della Mervel. Tutto si è svolto a una velocità folle. Ho letto la sceneggiatura, incontrato Chadwick, ci siamo trovati bene e mi sono trasferito negli Stati Uniti in tutta fretta. Girare un film indipendente a Los Angeles non è cosa semplice e ci si deve rendere conto che si è in un altro mondo.

Perché l’avventura americana?
Di mestiere faccio il regista e amo il rischio. Quindi, se mi si presenta l’occasione di partire…Può essere frustrante, in particolare durante la fase di post-produzione, nella quale non esercitavo alcun controllo. Negli Stati Uniti, il set è il regno del regista. È durante le riprese che ho potuto scegliere tutti i collaboratori. Ma dopo… La Directors Guild of America permette ai cineasti di passare dieci settimane al montaggio, è il famoso Director’s Cut (il taglio del regista). Dopodiché, i produttori vengono a vedere il film montato e decidono se il regista può continuare. Sono sempre i produttori ad avere l’ultima parola. Io non ho desistito, perché volevo che questo film rappresentasse al meglio la mia visione. Ho voluto un’opera senza effetti speciali, ad altezza uomo, in una Los Angeles appiccicosa, e sono riuscito ad imporre il formato 35mm. Bisogna prendere questo film per quello che è, un autentico pulp, con degli archetipi ma, spero, anche con qualcosa in più.  

Ha rappresentato Los Angeles in modo molto organico.
In tutti i miei lavori, l’ambientazione è trattata come una vera e propria antagonista. Anche se c’è un riferimento al realismo, cerco di oscillare verso un’astrazione cinematografica. Los Angeles è una città in cui il peggio e il meglio si mescolano continuamente, per me era molto importante riuscire ad infonderle un odore, a trasformarla in sensazione. Mi sono ispirato ai film degli anni ’70 ambientati in questa città che adoro, come Hardcore di Paul Schrader, ma anche ai romanzi di James Ellroy, Chester Himes e Elmore Leonard. Penso che le opere che non invecchiano sono quelle che, grazie alla loro astrazione artistica, mantengono un giusto rapporto con la fotografia. I tre pilastri sono l’ambientazione, gli attori e la luce. I film che invecchiano male, sono spesso quelli che non realizzano a questa simbiosi, o che sacrificano uno di questi aspetti, quasi sempre l’ambientazione o la luce.

Il film è stato acquistato da Netflix e uscirà in sala in Francia, ma non in altri paesi…
La cartografia del cinema mondiale sta cambiando con Netflix. Certamente, ho girato il mio film in 35mm, sono un cinefilo e sogno che il mio lavoro sia visto al cinema. Ma bisogna accompagnare questi mutamenti. Sono sicuro che tra 10 anni, soltanto un film su 10 uscirà in sala. Sarà la fine della dittatura dei proprietari delle sale e dei distributori. Le case di produzione torneranno forse a mettere i registi sotto contratto per una pacchetto di pellicole. Credo che Netflix abbia capito che deve incoraggiare la creatività e questa può essere un’opportunità per i creatori per riprendere il controllo di Hollywood.

Può parlarci del suo prossimo progetto, Adoration?
Si tratta di un piccolo film, molto modesto. Se ci sarà un allineamento dei pianeti, gireremo quest’estate. È la storia di un bambino di 11 anni che vive con la madre in una specie di casa per persone benestanti con problemi psicologici. Sua madre è un po’ la tuttofare della dimora. Un giorno arriva una ragazzina di circa quindici anni, affetta da schizofrenia e dannatamente bella. Lui se ne innamora perdutamente fino quasi a perdere la ragione, lei è un enigma e lo conduce in uno strano viaggio. Attualmente stiamo facendo i provini per i bambini. Benoît Poelvoorde interpreterà un personaggio minore, ma di fondamentale importanza per il terzo atto della storia.  

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(Tradotto dal francese)

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