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Juan Antonio Bayona • Regista

“Un regista ha bisogno di trovare la verità ed esprimerla”

di 

- SAN SEBASTIÁN 2016: Il regista di The Impossible presenta il suo terzo film, A Monster Calls, anch’esso di grosso budget e con star di Hollywood nel cast

Juan Antonio Bayona  •  Regista
(© Lorenzo Pascasio)

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è interpretato da Felicity Jones, Liam Neeson, Sigourney Weaver e il piccolo Lewis MacDougall, un altro bambino diretto da Juan Antonio Bayona, già alle prese con l’infanzia nei suoi due fortunati lungometraggi precedenti: El orfanato [+leggi anche:
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Cineuropa: Si sente sotto pressione dopo il successo di The Impossible?
J. A. Bayona:
Dopo il successo dei miei primi film, volevo sapere perché avevano funzionato così bene: quali erano gli elementi che entravano in connessione col pubblico. Ho cominciato a leggere sul significato delle storie, come funzionano, e sulla psicanalisi delle fiabe, e mi è parso affascinante. E’ uscito poi il libro A Monster Calls e ho pensato che fosse per me un modo ufficiale per cominciare a lavorarci, poiché mi era piaciuta l’analogia tra la necessità del personaggio centrale di raccontare la verità e quella del regista di trovarla ed esprimerla. 

La sceneggiatura viene da una materia molto sensibile e difficile. Come l’ha maneggiata?
E’ stata la cosa più difficile. Siobhan Dowd era una scrittrice per bambini, sempre da una posizione molto rispettosa, e quando scoprì di essere malata decise di scrivere un libro affinché i piccoli capissero il significato della perdita. Quello che ha fatto Patrick Ness è far propria la storia, e io l’ho fatto col suo racconto, cercando la luce alla fine del tunnel: ho introdotto l’idea dell’eredità, che si trasmette dai genitori ai figli.  

Si può dire che questo film chiuda una trilogia Bayona sulla famiglia?
Non è un piano premeditato, è venuto così; la famiglia nella cultura mediterranea è molto importante, è centrale. Mi interessava molto l’idea della verità, come in The Impossible, in cui i personaggi non possono permettersi di raccontare bugie, perché non li aiuterebbe a sopravvivere; e qui la malattia è un conto alla rovescia che obbliga i personaggi a confrontarsi con la verità. Il film è su questo: la capacità di dire la verità.

Il film parla anche di affrontare la vita come viene?
Mi interessava la dialettica del sì e del no: nel nostro mondo viene detto alla gente che le cose devono essere o bianche o nere, per questo volevo dire al pubblico che possono anche essere entrambe le cose. Questa contraddizione rivela l’umanità che finisce per articolare la mappa emotiva dei personaggi. E volevo anche che il pubblico interpretasse la storia a modo proprio.

Come ha ideato il tratto del mostro?
Non volevo che questa creatura richiamasse l’attenzione più della storia, né che gli effetti speciali dominassero le scene con gli esseri umani. Così abbiamo tentato di costruire un mostro il più semplice possibile, partendo dall’idea di purezza di una figura maschile, che fosse anche l’uomo che diventerà Conor, il bambino protagonista. Volevamo poi disegnarlo come una sagoma nera e abbiamo costruito a grandezza naturale la testa, le braccia e un piede, e le texture sono state applicate al 3D, che funziona molto bene: nonostante tale dispiegamento di effetti speciali, non hanno mai prevalso su ciò che accadeva nell’inquadratura, e questo mi rassicurava.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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