email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

Marco Martins • Regista

"Volevo dare un volto alla crisi"

di 

- VENEZIA 2016: Il portoghese Marco Martins racconta il lavoro di regia di Saint George, presentato a Venezia, nella sezione Orizzonti

Marco Martins • Regista
(© la Biennale di Venezia - foto ASAC)

Tra i volti nuovi del cinema portoghese, è di ritorno Marco Martins. Scoperto a Cannes dieci anni fa per il suo primo lungometraggio Alice [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Marco Martins
intervista: Nuno Lopes
scheda film
]
, realizzato in stretta collaborazione con Nuno Lopes, il regista è tornato a lavorare con l’attore e insieme hanno presentato alla Mostra di Venezia, nella sezione Orizzonti, la loro ultima fatica: Saint George [+leggi anche:
recensione
trailer
Q&A: Marco Martins
scheda film
]
. Un film che si cala in un Portogallo in crisi, tenendo sullo sfondo i combattimenti di boxe e le sacche di popolazione più vulnerabili.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)
Hot docs EFP inside

Non è la prima volta che la crisi è al centro di uno dei suoi film. E’ già successo in Vinte e um – O dia em que o mundo não acabou, che ha scritto insieme a Michelangelo Pistoletto. Da dove viene questo interesse?
Marco Martins: Il film che ho fatto con Pistoletto parlava della crisi mondiale da un punto di vista più teorico, parlava del modello di sviluppo di certi paese come l’India, della diminuzione delle risorse naturali... Quindi era un’idea più generale sulla crisi economica, ma anche sullo sviluppo industriale, sull’aumento della popolazione ecc. In Saint George, il focus è più su un periodo della storia recente del Portogallo durante gli anni della troika. E’ il racconto di un paese indebitato e che molti dicevano che non sarebbe riuscito a pagare i suoi debiti. In questo senso, è anche un po’ la storia di un paese che si proietta nell’universo dei personaggi. Uno di loro, Jorge, non ha un lavoro ed è indebitato fino al collo. Finisce col trovare un impiego in un’agenzia di recupero crediti. Ho voluto dare un volto alla crisi. Una cosa che accade spesso, nei media in particolare, è che quando si parla della crisi, si parla di cifre, non si parla pîù di persone. E’ un po’ quello che sta succedendo anche adesso con i rifugiati. E’ diventato un problema quasi astratto, ma in realtà siamo tutti coinvolti.

Il film è ambientato nel 2011. Il progetto è stato iniziato allora e le è stato necessario un po’ di tempo per portarlo a termine. Questo periodo le ha consentito una maggiore precisione nell’affrontere questo soggetto che nella finzione ha trattato in modo cosi documentaristico?
Questa è una bella domanda, perché in effetti non c’è niente di più desueto di un film sull’attualità. Se parliamo di qualcosa che è avvenuto 15 anni fa, abbiamo uno sguardo storico e sappiamo come affrontare l’argomento. Ma quando parliamo di attualità, del presente, si corrono molti rischi, e soprattutto il rischio che il film non sia più attuale al momento dell’uscita. In questo caso, si parla di una crisi endemica del nostro sistema. Non si tratta della crisi dei "subprimes" che è arrivata in Europa. Ci sono altri problemi dietro: un sistema sociale che non funziona, una popolazione con un basso grado di scolarizzazione, nonostante i continui sforzi... Per quanto riguarda l'aspetto documentaristico del film, ho dovuto condurre una grande ricerca. Non ero pronto a priori per parlare di un ambiente sociale svantaggiato, che conosco a malapena. Abbiamo fatto un grande lavoro di approfondimento su questa classe sociale, che ci ha preso molto tempo. Inoltre la sceneggiatura era chiusa, ma ci è sembrato ovvio che queste persone non potevano essere lasciate fuori dal progetto: volevamo integrare le loro voci e i loro gesti nel film. Nessun attore avrebbe potuto farlo con precisione, il risultato sarebbe stato una specie di imitazione di un universo difficile da mostrare. Tutto dipende dagli occhi con cui si guarda il mondo e, si sa, gli occhi sono lo specchio dell’anima. Con un semplice sguardo, questi personaggi erano in grado di trasmettere moltissimo. Quindi ci è venuta l’idea di costruire qualcosa che fosse una via di mezzo tra finzione e documentario, ma non nel modo che si vede di solito, con sequenze di finzione e sequenze di documentario separate, bensi mescolandole. Per riuscirci bisognava trovare un attore che fosse contiguo a questo mondo e in grado di materializzarlo. Abbiamo fatto molte riunioni con Nuno Lopes e il resto del cast. Abbiamo parlato a lungo con gli abitanti dei quartieri e, a poco a poco, siamo arrivati a quaesta integrazione. 

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy