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Marco Bellocchio • Regista

"In quella storia c'è qualcosa che mi appartiene"

di 

- CANNES 2016: Il regista italiano Marco Bellocchio ha incontrato la stampa italiana per parlare di Fai bei sogni, scelto per aprire la Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes

Marco Bellocchio • Regista
(© Quinzaine des réalisateurs)

Il nuovo lungometraggio di Marco BellocchioFai bei sogni [+leggi anche:
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Q&A: Marco Bellocchio
scheda film
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, è stato scelto per aprire la Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes. Ispirato al bestseller omonimo di Massimo Gramellini, il film racconta la lunga elaborazione del lutto di un figlio dopo la morte della madre. Protagonisti Valerio Mastandrea e Berenice Bejo. Prodotto da IBC Movie con Kavac e Rai Cinema e i francesi di Ad Vitam, il film uscirà in Italia in autunno con 01 Distribution. Questa mattina Bellocchio ha incontrato la stampa italiana.

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Cosa le interessava in particolare di questa storia, per farne un film?
Mi è stato proposto dal produttore Beppe Caschetto, non avevo letto il libro. Vi ho trovato una tragedia umana che mi ha molto coinvolto. Mi ha convinto il dramma contenuto nel romanzo: la morte della mamma, il rimanere orfani quando si è ancora bambini. C'è un ragazzino piccolo borghese in una città del Nord (Torino è una città che non conoscevo), c'è la storia d'Italia e della televisione. Mi interessa, ad esempio, mettere insieme i linguaggi: quella tv fatta da Raffaella Carrà, dalle Olimpiadi di nuoto, dal Belfagor, presente nel libro. Questo magma caratterizza lo sguardo del film.

Gramellini ha partecipato alla scrittura della sceneggiatura?
No, non si è mai inserito. Ho scritto la sceneggiatura con Edoardo Albinati e Valia Santella ed è stato piuttosto complicato. Il romanzo copre 30, 40 anni di una vita, qui bisognava trovare dei punti di sintesi. Io sono fuori dall'attualità sociale, ma ci sarebbe da fare un film sulla vostra tragica professione di giornalisti, sulla vostra superficialità. La dimensione disumana, l'afferrare il presente, il giornaliero. Nel film tutto questo è sintetizzato nella scena in cui Massimo ha la fortuna di trovarsi dentro a una vicenda di Tangentopoli e poi nella scena di Sarajevo dove un fotoreporter sta fotografando un bambino accanto alla madre morta. 

Cosa sente di avere in comune con l'autore del romanzo, un giornalista, lei che va nella direzione opposta a questa superficialità?
Certamente abbiamo sensibilità diverse, ma ho intravisto nella sua storia qualcosa che mi apparteneva profondamente. Anche in una storia così lontana si riescono a trovare connessioni, qualcosa che ti riguarda. Il rapporto con la madre è opposto e complementare a quello della madre del mio film d'esordio, I pugni in tasca, buttata nel burrone. Qui c'è una madre santificata. Alessandro, il protagonista de I pugni in tasca uccide perché la madre non gli ha mai dato nulla, mentre qui abbiamo un rapporto di simbiosi. 

Il rapporto con la madre coinvolge comunque ognuno di noi.
Non ho conosciuto nessuno che mi avesse detto 'adoro mia madre, è perfetta'. Ma il movimento all'interno del film obbliga al tentativo di cambiare, di essere diversi. Anche in Buongiorno, notte la terrorista interpretata da Maya Sansa mi interessava per dare il senso del cambiamento, di un'uscita dalla passività rispetto alla propria condizione.

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