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Ivo M. Ferreira • Regista

"Una storia d’amore e di sopravvivenza"

di 

- BERLINO 2016: Il cineasta portoghese Ivo M. Ferreira parla di Cartas da guerra, proiettato in competizione a Berlino

Ivo M. Ferreira  • Regista
(© Berlinale)

Accompagnato dai suoi attori Margarida Vila-Nova, Miguel Nunes e Ricardo Pereira e dal suo produttore Luís Urbano (O Som e a Fúria), il cineasta portoghese Ivo M. Ferreira ha dato qualche indizio alla stampa internazionale sul suo film poetico Cartas da guerra [+leggi anche:
recensione
trailer
Q&A: Ivo M. Ferreira
scheda film
]
, svelato in competizione al 66mo Festival di Berlino

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Può spiegarci brevemente il background storico del Portogallo che fa da sfondo alle vicende del film?
Ivo M. Ferreira: Tutto è cominciato nel 1971, quando il giovane dottor Antonio Lobo Antunes si è ritrovato in questa guerra in Angola, iniziata ormai da tempo e che tutti sapevano fosse ingiusta, senza alcuna prospettiva di successo. Il paese aveva conosciuto una guerra molto lunga ed è attraverso questo conflitto che si è potuta sconfiggere la dittatura in Portogallo. Sono stati gli ufficiali e i soldati a iniziare la rivoluzione. Le lettere che Lobo Antunes ha scritto a sua moglie durante la guerra sono state raccolte e pubblicate in un libro e insieme a Edgar Medina ne abbiamo fatto un adattamento, che non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di Lobo Antunes e di sua figlia. Ma al di là delle lettere che sono alla base della sceneggiatura, abbiamo aggiunto qualche elemento, ad esempio l’elefante e delle informazioni ricevute nei decenni successivi alle lettere. Ma l’abbiamo fatto con molta modestia.

Ha concentrato su una storia individuale un film consacrato a un soggetto ampio come la guerra, e i soldati portoghesi non sono stigmatizzati. Perché?
Ovviamente il film ha un aspetto politico, ma non volevo parlare delle guerra coloniali, degli aspetti bui e tragici. Anche i soldati portoghesi erano, in un certo modo, vittime di una guerra assurda. Quando ero piccolo, mio padre era un rifugiato politico in Francia: era scappato dal Portogallo, perché non voleva partecipare a questa guerra in Angola. 

Perché decidere di basarsi esclusivamente sulla lettura delle lettere e bandire totalmente i dialoghi?
Avevo l’idea del film e ho visto mia moglie leggere questo libro. Mi sono detto che così avrebbe potuto funzionare e ho cercato dei modi per realizzare questa idea. Si trattava di sviluppare una sorta di messa in scena con la presenza di persone che in realtà non ci sono. Ma c’è anche una dimensione molto importante, con le voci meravigliose con cui ho girato, poiché c’è molto testo da leggere. Per quanto riguarda la musica, che ho scelto intuitivamente, volevo che fosse semplice e soprattutto che non cadesse nel folklore africano. 

Come ha girato questa sorta di manifesto romantico contro la guerra e la violenza?
Il film deve molto al direttore della fotografia, Joao Ribeiro, nel quale ripongo piena fiducia. La fase delle riprese è stata davvero dura. Abbiamo iniziato a girare in Angola, è stato molto difficile e per nulla romantico. Nel libro di Antonio Lobo Antunes, c’è una storia molto personale e aveva insistito affinché girassimo in Angola, altrimenti avrebbe rifiutato di dare il suo consenso. Ovviamente ho rispettato il suo volere. Poi, dato che è un film di guerra, abbiamo riflettuto su quale fosse il formato più adeguato, cercando di evitare quello che temevo di più: che tutto fosse troppo evidente, poiché l’Africa è un territorio molto speciale che emana tristezza, amore e gioia, sentimenti che non sono così semplici da poter rendere attraverso le immagini. Quello che volevamo mostrare prima di tutto, infatti, era questa grande storia d’amore espressa dalle lettere perché, anche se i personaggi non sono fisicamente insieme, sono molto vicini. Una storia d’amore e di sopravvivenza, perché questo amore è la sola cosa che lo mantiene in vita.

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(Tradotto dal francese)

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