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Sanna Lenken • Regista

“L’anoressia è come la droga, ma pochi film ne parlano”

di 

- La regista svedese Sanna Lenken ha presentato la sua opera prima My Skinny Sister al Festival del cinema europeo di Lecce, dove ha vinto i premi per la sceneggiatura, Fipresci e del pubblico

Sanna Lenken  • Regista

Già premiato al Festival di Göteborg e alla Berlinale 2015, My Skinny Sister [+leggi anche:
recensione
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intervista: Sanna Lenken
scheda film
]
, dramma dell’anoressia visto attraverso gli occhi di una bambina (leggi la recensione), si è aggiudicato il premio per la miglior sceneggiatura, il premio Fipresci e il premio del pubblico al 16° Festival del cinema europeo di Lecce (13-18 aprile). Un debutto nel lungometraggio fortunato per la sua autrice, la svedese Sanna Lenken, già regista di una serie tv per ragazzi trasmessa in Svezia (Dubbelliv - Double Life) e di cortometraggi premiati in vari festival internazionali. Tra questi, Eating Lunch, che sempre di disturbi alimentari dei giovani trattava, ma da una prospettiva diversa.

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Cineuropa: Dal corto al lungometraggio, come si è evoluto il suo racconto sull’anoressia?
Sanna Lenken: Avevo cominciato a scrivere il film sei anni fa, prima del corto Eating Lunch. Durante le mie ricerche, avevo trovato molte storie. Una ragazza, in particolare, mi aveva fatto dei racconti su una clinica per disturbi alimentari, tra cui c’era un soggetto perfetto per un corto. Mi sono detta che non dovevo perdere tempo (nel frattempo ero rimasta anche incinta), volevo raccontare quella storia, così ho fatto prima il cortometraggio. La scelta si è rivelata buona perché il corto è servito per il finanziamento del film, ha girato una quarantina di festival internazionali e ha vinto diversi premi, è stato visto anche nelle scuole. Il corto e il lungometraggio mostrano due lati differenti della malattia, ma strettamente connessi.   

Le protagoniste del corto, quindi, non sono le stesse del film?
No, in Eating Lunch le protagoniste sono delle ragazze adolescenti in una clinica per disturbi alimentari, all’ora di pranzo. Hanno trenta minuti per mangiare (è così che funziona), ma nessuna ha voglia di farlo, si guardano e si confrontano. Nel film c’è un’altra prospettiva: quella della sorellina della malata. 

Perché ha scelto il tema dell’anoressia per il suo film d’esordio?
Io stessa ero malata di anoressia quando ero teenager. Avevo bisogno di raccontare una storia su questo perché non ne avevo viste molte. Volevo anche raccontare cosa significa essere una ragazzina e affrontare un peso così grande, la confusione data dal dover apparire ed essere in un certo modo. Ci sono diverse questioni nel film, non solo l’anoressia. Anche come la società affronta questo fenomeno, che in Svezia sta crescendo. Ho incontrato tante ragazze malate, talentuose e belle, dovevo fare questo film. L’anoressia è una dipendenza come le droghe e l’alcol, il meccanismo è lo stesso. Nel film c’è una famiglia intera, due sorelle in particolare, che devono affrontare questa malattia. Questa ragazza ne è vittima, ma lo siamo tutti. 

Stella è la prima ad accorgersi della malattia di Katja. Come è nata l’idea del punto di vista della sorella piccola?
Anch’io ho una sorella più piccola. All’inizio, mentre scrivevo la storia, il punto di vista era quello della malata, poi ho ripensato a mia sorella, al suo spavento, al suo timore che morissi. In realtà, più che per il fatto che non mangiassi, era preoccupata che fossi malata di mente, perché con i disturbi alimentari un po’ lo diventi, sei manipolativa, hai attacchi isterici. La prospettiva di Stella rende la storia più universale. 

Le due attrici protagoniste sono in perfetta sintonia fra di loro. Come le ha trovate?
Le ho cercate per un anno, ho visto centinaia di ragazze, non era una cosa facile perché dovevano lottare, piangere, amarsi e io dovevo stare molto vicina a loro. Ho trovato prima Katja, ovvero Amy Deasismont, che è una cantante pop per bambini (alias Amy Diamond, ndr). Il mio direttore casting, Catrin Wideryd, me l’ha indicata, io ero scettica, non credevo fosse adatta perché era nota per essere sempre felice e sorridente. Poi, ai provini sono rimasta sorpresa perché ha mostrato un altro lato di sé, quelle emozioni le erano molto vicine. Per Stella, invece, ero preoccupata perché ero arrivata a un punto che se non l’avessi trovata entro due settimane il film sarebbe saltato. Nel momento di massima disperazione, il mio direttore casting ha trovato Rebecka Josephson. L’ho trovata straordinaria, e migliorava ad ogni singolo provino. Poi le ho viste insieme, come interagivano fra loro, entrambe coi capelli rossi… ed è nato l’amore. 

Dirigere una bambina in un ruolo così drammatico non deve essere facile. Come ha lavorato con Rebecka/Stella?
La madre era preoccupata che per Rebecka fosse troppo faticoso, quindi abbiamo lavorato con lei non più di sette ore al giorno. Provavo con gli adulti la mattina e poi lei arrivava, entrava in scena, e anche se non sapeva sempre le battute, andava bene perché era naturale, si sentiva sicura perché prima delle riprese facevamo molte improvvisazioni con la famiglia. Nelle scene di pianto è entrata nelle emozioni da sola. Ogni tanto le chiedevo se era tutto ok, e lei: “Vedi Sanna, fa bene piangere ogni tanto”, come un’adulta! Credo poi che amasse molto Amy, e viceversa. Quando sono insieme, recita molto bene, sono in connessione fra loro. Nelle scene con gli altri bambini, invece, dovevo stimolarla un po’ di più. 

Quando potremo vedere My Skinny Sister nelle sale?
Il film uscirà in Svezia a settembre. E’ stato poi venduto in Francia, Germania, quasi tutta la Scandinavia, una decina di paesi europei in tutto. Poi in Asia, Corea del Sud, Iran, Iraq e altri paesi del Medio Oriente. Vorrei che gli adulti vedessero il film con i loro figli e riflettessero su quanto peso un adolescente debba talvolta portarsi sulle spalle.

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