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Abel Ferrara • Regista

“Pasolini arrivò e cambiò tutto. Come se fosse Gesù Cristo”

di 

- VENEZIA 2014: Il cineasta newyorkese Abel Ferrara è in concorso a Venezia e convince il pubblico italiano con il suo approccio a Pasolini

Abel Ferrara  • Regista

Negli ultimi anni il newyorkese d.o.c. Abel Ferrara ha abbracciato il cinema europeo con film come Napoli, Napoli, Napoli (2009) e Mary (2005). Questo perché vive a Roma da anni, inseguendo le sue radici. Ma anche perché, come ammette lui stesso, alcuni dei suoi problemi nel finanziare i suoi film, nonostante i budget ridotti, li ha risolti grazie a produttori europei. Ora concorre al Leone d’oro della Mostra del Cinema di Venezia con il suo film più italiano, Pasolini [+leggi anche:
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. In esso racconta le ultime 48 ore della vita di uno dei più grandi intellettuali del XX secolo attraverso il suo attore feticcio, Willem Dafoe. Anche l’attore vive a Roma dopo essersi sposato con l’attrice Giada Colagrande.

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Cineuropa: Perché ci ha messo tanti anni a realizzare questo progetto?  
Abel Ferrara:
 Le cose devono venir da sé e io mi lascio trasportare molto dalla corrente. Ho sempre quattro o cinque idee di film in testa. Se mi mancava il finanziamento o uno degli attori per Pasolini, passavo a un altro progetto. Fino a quando tutto non ha coinciso. Anche se devo ammettere che con questo film ho avuto meno problemi a trovare il finanziamento rispetto agli altri. Quando dissi che volevo fare un film su Dominique Strauss-Kahn e con un attore controverso come Gerard Depardieu (Welcome to New York), nessuno ne voleva sapere. Invece con un progetto legato a Pier Paolo Pasolini non è stato difficile trovare una produzione in Italia. Subito dopo si sono aggiunti il Belgio e la Francia.

Perché ha scelto una figura come Pier Paolo Pasolini?
Il cinema italiano di una determinata epoca è nel mio DNA. Non solo per le mie radici, ma anche perché è quello che vedevo quando avevo vent’anni. Antonioni, Fellini, Rosi… una stagione cinematografica che se n’è andata. Era un cinema che perseguiva una visione, con una totale libertà del regista e senza alcuna forzatura. Pasolini era molto impegnato in questo mondo di cui parlo. Arrivò lui e cambiò tutto. Come se fosse Gesù Cristo”. 

Lei ha la fama di regista controverso e in questo progetto ricostruisce la vita di un intellettuale controverso. Ma il risultato, con grande sorpresa, non è particolarmente controverso…
Credo non ci fosse nessuna provocazione da scovare. Mi sono limitato a mostrare un uomo che era apertamente gay nell’Italia degli anni 70. Una cosa che non era per niente cool. Non si nascondeva. Non permetteva a niente e nessuno di compromettere la sua opera, nemmeno sua madre. Si presentava al mondo dicendo ‘Queste sono le mie parole. Questo è il mio stile’. Non c’è cosa più controversa di questa.

Nonostante tratti le ultime ore di vita di Pasolini, non si concentra su teorie cospiratorie o possibili tesi di suicidio.
Non ha importanza come morì. Nel film raccontiamo la sua morte ma senza cercare spiegazioni definitive, perché concentrarsi su quello avrebbe offuscato il ritratto della sua vita. Non sono un detective e non mi metto a indagare su cose già indagate da altri negli ultimi cinquant’anni.

Ci sono voci critiche che non capiscono perché le parti girate da Willem Dafoe sono girate in inglese e molte altre scene in italiano.
Beh, è un problema loro. Viviamo in un mondo moderno in cui questo dovrebbe essere un semplice aneddoto. Tuttavia abbiamo trovato il tempo di girare il film due volte. Una in inglese e l’altra in italiano. Eccetto le scene chiave che sono state girate solo in inglese. Ci sono differenze nell’interpretazione di Willem, ma non molte. Non cercavo una veridicità totale. E’ il mio approccio al tema e sia Willem che io siamo statunitensi. C’è per caso un attore che parla tutte le lingue del mondo? Forse Viggo Mortensen, ma non lo vedevo bene come Pasolini. Volevo Dafoe. Viviamo nella stessa città, abbiamo gli stessi ideali e le stesse origini. Ultimamente abbiamo girato molto spesso insieme e siamo in profonda connessione. Sapevo che era lui il mio uomo.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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