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Rune Denstad Langlo • Regista

"Scommettere sulla sobrietà"

di 

- Chasing the wind (Jag etter vind) è il secondo lungometraggio del norvegese Rune Denstad Langlo

Nel 2009, quando il suo talento di documentarista era comprovato, Rune Denstad Langlo esordì come regista di finzione con Nord [+leggi anche:
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, film premiato, fra gli altri, al Tribeca Film Festival di New York. Chasing the wind [+leggi anche:
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(Jag etter vind), appena uscito, è il secondo lungometraggio di questo cineasta norvegese molto attaccato alla sua terra natale.

Cineuropa: Che cosa vuol dire il titolo?
Rune Denstad Langlo: E' un'espressione trattadall'Antico Testamento, dell'Ecclesiaste (1.14), per la precisione. Jag etter vind è correre dietro al vento, è la futilità delle nostre azioni, l'inanità delle imprese umane. Vanità delle vanità. Johannes, il nonno del mio film, interpretato da Sven-Bertil Taube, attore-cantante svedese molto conosciuto in Scandinavia, ama citare la Bibbia. E anche declamare testi tedeschi.

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Questo è un nonno piuttosto scontroso.
E' il suo modo di proteggersi, di lottare contro il dolore per aver perduto sua moglie. Confrontata con questo lutto, e con ricordi molto dolorosi, esitante tra due amori, sua nipote Anna, interpretata da Marie Blokhus, reagisce in modo diverso, al suo ritorno nel villaggio natale. I due faticheranno a comprendersi. Le strategie di sopravvivenza di fronte al dolore variano da un essere umano all'altro, e spesso è con i membri della propria famiglia che si comunica di meno, forse per pudore.

Il suo film è autobiografico?
Indubbiamente. Ricordo ancora la morte di mio nonno, i tre giorni passati da solo con mia nonna, periodo doloroso che mi ha ispirato la sceneggiatura, che è anche la prima che scrivo. A volte mi sono sentito solo in questo lavoro di elaborazione. Bisogna dire che serbavo il ricordo dei meravigliosi momenti di creazione comune che avevo vissuto con lo scrittore norvegese Erlend Loe, sceneggiatore di Nord. Il suo umorismo, il suo senso dell'assurdo mi sono mancati. L'umorismo c'è anche in Jag etter vind, ma è stemperato dalla malinconia.

I suoi personaggi hanno dei segreti.
Sì, reticenze, silenzi. Gran parte dell'azione appartiene di fatto al passato, e soprattutto non volevo fare troppe rivelazioni insieme. Mi sono dovuto trattenere, calcolare, dosare. Che cosa dire, in quale momento? Come gestire la suspense? In fondo, scrivere una sceneggiatura, strutturare un intreccio, si avvicina un po' alla matematica. Volevo anche che il racconto avesse il proprio ritmo, che le immagini parlassero da sole, un po' come nei film di Bent Hamer. Sono stato aiutato in questo da Philip Øgaard, il mio direttore della fotografia, che ha scelto di utilizzare una camera digitale Arri Alexa. Abbiamo talvolta optato per soluzioni radicali, limitandoci ad esempio a un certo numero di riprese, per poter curare meglio l'immagine. Era rischioso, lo sapevamo, perché al montaggio la scelta era minima. Ma penso che, se si scommette sulla sobrietà, bisogna anche affidarsi al proprio intuito durante le riprese. Amo pormi dei limiti, è il miglior servizio che possa rendere al film. Si tende a disperdersi quando si ha una materia prima troppo importante.

Dove ha girato il film?
Per lo più sull'isola di Stokkøya, a nord di Trondheim, vicino casa mia. Amo filmare in posti che conosco, lavorare in squadra, vivere insieme, un po' come gli scout, senza famiglia né amici, con il film come unico progetto, per due mesi. I paesaggi sono belli, ma ho cercato di evitare il pittoresco gratuito. I luoghi, come gli oggetti, hanno la loro importanza nel film: sono spesso dei catalizzatori che suscitano emozioni ed evocano ricordi. 

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