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Cyril Mennegun • Regista

"L’ambizione non è solo questione di denaro e cast"

di 

- Cyril Mennegun analizza il sorprendente successo di Louise Wimmer e parla del suo secondo lungometraggio La rencontre

Presentato alla Settimana della Critica di Venezia, Louise Wimmer [+leggi anche:
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ha avuto un grande successo nelle sale francesi e ha ottenuto il César 2013 e il premio Louis Delluc 2012 della miglior opera prima. Incontro con il regista, che torna a parlare del suo film d'esordio e che al momento sta preparando il suo secondo lungometraggio, La rencontre, con protagonisti Alexandre Guansé e Céline Salette.

Cineuropa: Al di là della qualità del film, come spiega il successo di Louise Wimmer su un tema (una donna di quasi 50 anni che lotta contro la povertà) per niente "glamour"?
Cyril Mennegun: E' chiaramente il frutto del lavoro di tutta una squadra, dalla produzione (Zadig) alla distribuzione (Haut et Court). Ma penso anche che il film abbia una sorta di risonanza con la nostra epoca, con la problematica generale della crisi e il bisogno degli spettatori di avere accesso a opere che portino il loro sguardo su questioni che ci riguardano tutti nel quotidiano, uno sguardo più sensibile rispetto al lavoro giornalistico che tratta questi problemi usando numeri e in maniera un po' disumanizzata.

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In che modo il suo passato da documentarista influenza il suo approccio alla finzione?
Sono autodidatta, non vengo da una scuola di cinema, quindi non ho un percorso nutrito di riferimenti teorici forti e ho costruito la mia cinefilia piuttosto tardi. Mi sono formato attraverso il documentario e quello che mi rimane, più che cogliere il reale, è il rispetto della persona che filmi, che sia reale o no, il rispetto del personaggio che scrivi in una sceneggiatura e che descrivi all'interno di una finzione.

Quali sono le sue preferenze cinematografiche?
Amo, fra gli altri, i neorealisti italiani, John Cassavetes, registi anglosassoni come Lodge Kerrigan, che sono grandi ai miei occhi anche se non lo sono in termini di box-office, Laurent Cantet, Bruno Dumont.

Perché è così fedele al suo produttore, Bruno Nahon?
E' molto coerente con i suoi gusti e valori, con quello che vuole fare e con gli strumenti a sua disposizione per finanziare e fabbricare film. Sono dieci anni che lavoriamo assieme ed è particolarmente  rappresentativo di una nuova generazione di produttori, personalità molto coinvolte nel mondo attuale. Si è battuto per Louise Wimmer perché era un'opera prima, su un tema non semplice, senza star e di un regista sconosciuto.

Che cosa pensa del dibattito attuale sulla difficile affermazione dei giovani registi francesi al primo o secondo film?
Quando lavoravo su Louise Wimmer, mi dicevano: "E' quasi impossibile fare un'opera prima oggi". Ora mi si dice che il secondo film è molto più duro. C'è sempre qualcosa che ti smonta (ride). Ma penso che non ci siano verità assolute, che tutto dipenda dal film che si vuole fare, dall'energia che ci metti e dalla sceneggiatura. Ad ogni modo, è sempre difficile fare un film. Nessuno misura il tempo, gli sforzi e il lavoro che sono stati necessari affinché Louise Wimmer vedesse la luce. Ma è anche un percorso che può dare coraggio a chi vuole fare film: non devi rinunciare a niente per riuscirci.

A che punto è il suo prossimo progetto?
Sono a fine scrittura e dovrei girare l'inverno prossimo La rencontre (titolo provvisorio), una storia d'amore sullo sfondo della crisi e di riflessione sui margini del mondo. Il mio lavoro si basa sempre sul ritratto e sul far emergere i personaggi forti. Il film sarà interpretato da Céline Salette, ma tornerò anche a scommettere su un attore totalmente sconosciuto, Alexandre Guansé. Sono convinto che il cinema francese abbia bisgno di volti nuovi e se questo non passa per gente come me, non vedo da chi dovrebbe passare. Non sarà un film difficile da finanziare perché ci tengo a mantenere la mia libertà, per ora. Potrei fare un film con più soldi, ma non voglio fare hold-up. L’ambizione non è solo questione di denaro e cast, ma restare coerenti con quello che si è, lavorare in questa vena e con il proprio modo di raccontare. E nonostante tutti i premi vinti da Louise Wimmer, mi considero ancora come un apprendista regista.

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