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Peter Herrmann • Produttore

La vittoria di Nowhere in Africa

di 

- Intervista esclusiva con Peter Herrmann, produttore della pellicola premiata con l'Oscar per il miglior film straniero

Nowhere in Africa [+leggi anche:
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è la commovente storia di una famiglia di ebrei in fuga dalla Germania nazista. Il padre Walter (Merab Ninidze), la madre Jettel(Juliane Kohler) e la figlia Regina (interpretata da Karoline Eckerz e dalla bambina Lea Kurka) troveranno la vita e la libertà in Kenya, chi più facilmente, chi scontrandosi di più con le mille difficoltà. Il film è basato sulla autobiografia di Stefanie Zweig e assume il punto di vista della piccola Regina, che in Africa si trova benissimo. Girato con una stupenda fotografia, il film parla di tolleranza, solidarietà e capacità di adattamento. Ne abbiamo parlato con un euforico Peter Herrmann, che ha speso sette anni della propria vita alla produzione del film diretto da Caroline Link. E che stanotte è stato ricompensato con il massimo riconoscimento.

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La domanda ovvia: come ci si sente a vincere l’Oscar?
“Mi sento meravigliosamente bene. E’ fantastico ed ancora stento a crederci che abbiamo veramente vinto l’Oscar.”

E' riuscito a parlare con Caroline Link?
“Si. Ma non abbiamo avuto quello che si potrebbe definire “una conversazione normale” perché siamo scoppiati in lacrime! Ho cercato di contattare anche gli attori ma non sono ancora riuscito a parlargli perché le linee erano occupate.”

Come era l’atmosfera stasera a Hollywood?
“La guerra predominava su tutto. Ho avuto molta ammirazione per il discorso fatto da Michael Moore, il vincitore dell’Oscar per il miglior documentario con Bowling for Columbine, che ha gridato “Vergogna, Presidente Bush. Noi siamo contrari a questa guerra.” Credo che eravamo in tanti a condividere questi sentimenti.”

Che cosa state facendo adesso?
“Stiamo festeggiando. E’ una festa molto bella e credo che la maggior parte della comunità tedesca di Los Angeles è qui con noi.”

La lavorazione del film ha avuto dei momenti difficili?
“Questo film è stato parte integrante della mia vita sin dal 1995, quando ho acquisito i diritti del libro di Stefanie Zweig. Sono stato coinvolto in ogni passaggio, ho passato più di sei mesi in Kenya per la fase di pre-produzione, e tre mesi per le riprese. Girare ha comportato rischi molti alti per la mancanza di infrastrutture in Kenya. Le comunicazioni erano un problema, fuori da Nairobi, i telefoni non funzionavano e a volte era un incubo, ma era importante, per Caroline e me, che il film fosse il più autentico possibile, proprio perché basato su una storia vera".

Cosa pensa degli altri candidati al miglior film straniero?
"Domanda difficile. Davvero. Conosco soltanto due altri titoli fra quelli nominati, Hero, il film cinese, e L'uomo senza passato [+leggi anche:
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, che sono entrambi molto validi: ricevere una nomination per l'Oscar significa entrare a far parte della Champion's League. Sono comunque film molto diversi da Nowhere in Africa [+leggi anche:
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. Hero è un film straordinariamente ben fatto, con un enorme bugdet ed uno stile registico assai personale, il film di Aki è l'esatto opposto, anch'esso molto valido e fortemente artigianale. Penso che il nostro film si trovi a metà strada, possiede gli aspetti artigianali ma è comunque un film potente e drammatico".

C'è nel vostro film un qualche messaggio rivolto alla società contemporanea?
"Il messaggio che sta dietro al film parla di cosa significhi essere un rifugiato. È una condizione che colpisce milioni di persone, in tutto il mondo, ed è interessante vedere come il trovarsi in una posizione di debolezza, in un paese che non è il proprio, influisca sulla vita e sulle relazioni".

Crede che il successo di Nowhere in Africa renderà più semplice, per voi, la realizzazione di nuovi progetti? "Sono molto ottimista e spero sinceramente che, per il mio prossimo progetto, le cose avverranno in maniera più rapida".

Di cosa si tratta?
"Stefanie Zweig ha scritto un seguito di 'Nowhere in Africa', intitolato 'Nowhere in Germany'. È la storia del rientro di una famiglia in Germania, negli anni '50, ed è un tema importante e molto interessante, specialmente da quando tutti conoscono il nostro film- è diventato una sorta di marchio di qualità in Germania.
Per quanto riguarda il secondo progetto, non sono in grado di parlarne ora perché spero prima di assicurarmi il contratto. Quello che posso dire è che si tratta di un progetto internazionale, simile per alcuni versi a Nowhere in Africa, e che non è ambientato in Germania, anche se riguarda un tema legato alla Germania".

Nowhere in Africa è stato da poco distribuito negli Stati Uniti. Come sta andando?
"È uscito soltanto da una settimana a Los Angeles, in 5 copie, e sta andando piuttosto bene, ha ricevuto delle critiche molto favorevoli. A New York invece ha 2 o 3 sale, e presto sarà il turno di Chicago, San Francisco e, alla fine, si prevede la copertura dell'intero paese con 50 copie".

La sensazione generale è che la strada che possa permettere al cinema europeo di sopravvivere sia la coproduzione. È d'accordo?
"Direi di sì. L'estate scorsa ho realizzato la mia prima coproduzione europea, un film franco-tedesco chiamato Olga's Summer, che uscirà il prossimo inverno. È stata per me un'esperienza positiva e molto interessante. Prima di farlo, tutti mi avevano sconsigliato di lavorare con i francesi, perché rendono ogni cosa terribilmente complicata, ma per me e per il mio coproduttore francese è stata comunque un'esperienza molto positiva. Forse molto dipende dal coproduttore, ma, per la mia esperienza personale, è qualcosa che sicuramente ripeterei".

Proprio di recente ci sono stati alcuni grandi sconvolgimenti nel settore media, in Germania, che hanno visto gli Americani rilevare la KirchMedia e Bertelsmann fare fagotto. Come pensa che tutto questo influirà sull'industria cinematografica tedesca?
"Al momento non mi sembra sia così importante. Sebbene le cose possano cambiare. In Germania siamo molto fortunati ad avere un sistema di finanziamento pubblico per i film di budget non molto alto. Nowhere in Africa, per esempio, è stato realizzato con qualcosa come 7- 7,5 milioni di euro. È la cifra massima che puoi finanziare da solo, in Germania, e ce l'abbiamo fatta grazie ai fondi della distribuzione, della televisione e il Finanziamento Cinematografico. Se si supera il limite, sorge un altro problema, la lingua del film. Per raggiungere il mercato mondiale, devi girare in inglese. Mi sento di dire che dipende molto dal progetto in questione. Credo che una storia tedesca vada narrata in tedesco. Ma, naturalmente, è tutto legato alle dimensioni del budget".

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