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Ursula Meier • Regista

Il cinema elvetico in vetta

di 

- Incontro con la regista franco-svizzera premiata a Berlino con Sister.

Dopo il successo di critica di Home [+leggi anche:
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. Un film di finzione girato sulle Alpi elvetiche che si è aggiudicato l'Orso d'argento.

Cineuropa: Come è nato Sister?
Ursula Meier: Ci sono stati diversi passaggi. Volevo tornare a lavorare con Kacey Mottet Klein, che aveva recitato in Home. All'epoca, era piccolo, aveva sette anni e mezzo. Avevo fatto un lavoro su di lui piuttosto empirico, intuitivo e sperimentale. Un lavoro appassionante, perché svolto su un terreno vergine. Avevo voglia di andare oltre. Inoltre, lui ha quella grazia che hanno certi attori, esprime qualcosa di molto forte. Allo stesso tempo, sono stata sempre affascinata dall'area industriale che si estende vicino Monthey, ai piedi delle Alpi svizzere. Quel posto è una testimonianza del mondo di oggi. Ha qualcosa di molto forte nella sua verticalità. Da una parte, c'è il mondo di sopra, con le sue stazioni sciistiche opulente che sembrano quasi Disneyland, e dall'altra, la pianura, grigia, un po' triste. Questo mi ha ispirato la storia di un ragazzino della valle che sale in vetta solo per rubare materiale da sci.

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Lei però va contro i cliché. Nel suo film, a valle c'è più aria rispetto alla vetta, che ha qualcosa di soffocante…
Ho effettivamente evitato di filmare la montagna come un panorama, di rendere omaggio alla bellezza delle Alpi. In alto, resto più vicina al bambino, l'inquadratura è stretta. E in basso, è più larga, si respira di più, è tutto più onirico. Questo ripristina una sorta di equilibrio tra i due territori.

In questo film si ritrova anche l'idea di famiglia singolare, disfunzionale, come in Home. Quando è apparso questo tema?
Piuttosto presto. Non volevo che il film ruotasse attorno a una falsa suspense morale tra Simon e Louise, la protagonista femminile. Non solo lei è al corrente dei furti di Simon, ma vi partecipa anche diventando quasi sua impiegata nella seconda parte del film. Entrambi vivono in una sorta di utopia, un po' come in Home. Cercano di vivere in un altro modo, secondo le proprie leggi e le proprie regole. Kacey e Léa Seydoux (che interpreta Louise), sono belli insieme: hanno la stessa grazia davanti la macchina da presa.

Aveva in mente proprio Léa Seydoux per la parte?
No, anzi, è arrivata piuttosto tardi. Ma quando alla fine l'ho incontrata, ho immediatamente scoperto un aspetto del personaggio che mi sfuggiva fino a quel momento. Questo mi ha permesso di finire la sceneggiatura, di allontanarci da un film puramente sociale per rimanere più nell'immaginario, nella favola.

Il fatto di aver rinunciato ad altri protagonisti rafforza questa impressione di fiaba…
Credo che al cinema quello che non mostri sia altrettanto importante di quello che mostri. E' una vera e propria scelta di regia, di scrittura. Ad esempio, in basso, a parte gli amanti di Louise, non ci sono adulti. Lei è circondata da bambini, cosa che ci rimanda a Biancaneve e i sette nani.

La descrizione dei retroscena delle stazioni sciistiche sembra invece molto realista. Come si è documentata?
Un inverno, ho preso un appartamento in montagna. Ho seguito la polizia di una stazione sciistica giorno e notte, e ho incontrato alcuni stagionali. Vivono in condizioni difficili e sono talvolta sfruttati dai ristoratori. Non riescono a trovare casa e lavorano tantissimo. La polizia è piena di lavoro, non riesce sempre a effettuare tutti i controlli necessari…

Che cosa è cambiato tra Home e Sister?
Home era di una precisione assoluta. La scrittura era minuziosa e precisa. Sister è più libero. E poi, Home aveva richiesto una grande preparazione, in ragione della sceneggiatura. Ci voleva un tratto di auostrada vuoto e una gran quantità di macchine… Qui, ho girato molto coi bambini. Con loro, bisogna accettare il fatto di non poter controllare tutto. In alcune parti, sono stata costretta ad affidarmi al mio istinto di regista.

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