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Susanna Nicchiarelli • Regista

Una ragazzina comunista alla conquista dello spazio

di 

Erano gli anni della corsa dello spazio. L’America capitalista e la Russia comunista si contendevano il primato ideologico attraverso la conquista delle stelle quando, in Italia, la quindicenne Luciana, affascinata dai proletari che lanciavano le loro idee al di là del pianeta, cresceva nella sezione del PCI e cercava di affermare la sua identità femminile. “E’ il racconto di un’adolescenza a cui fa da sfondo l’immaginario della lotta culturale tra due società alternative, fatto di miti oggi scomparsi”. Così Susanna Nicchiarelli descrive Cosmonauta [+leggi anche:
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, suo esordio da regista dopo un dottorato in filosofia, il Centro Sperimentale di Cinematografia e la collaborazione con Nanni Moretti, i cui frutti sono stati Il diario del Caimano (backstage del film inserito negli extra del Dvd) e Ca-Cri-Do-Bo, uno dei “Diari della Sacher”. Sceneggiato con Teresa Ciabatti e co-prodotto da Fandango e Rai Cinema, Cosmonauta è alla Mostra di Venezia, in Controcampo Italiano.

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Cineuropa: Che genere di film sarà Cosmonauta? Con che registro affronta il racconto di un’epoca movimentata e importante come quella dei primi anni ’60?
Susanna Nicchiarelli: E’ un romanzo di formazione in chiave di commedia, in cui affiorano anche molti momenti drammatici. E’ ambientato tra il ‘57 e il ‘63 e attraverso il racconto della conquista dello spazio narra l’affermazione politica e personale di una ragazzina, e contemporaneamente un pezzo della storia d’Italia. In quegli anni gli italiani vivevano il mito della Russia nello spazio con ingenuità, pensando di assistere a una grande conquista del proletariato, tanto che ‘l’Unità’ titolò ‘La tecnologia socialista sconfigge la forza di gravità’ in occasione del lancio dello Sputnik. Lo scarto tra quella visione innocente e lo sguardo disincantato di oggi crea un corto circuito ironico e divertente.

Chi sono i protagonisti del Cosmonauta, e quali le sue caratteristiche produttive?
Nel ruolo di Luciana, la protagonista, c’è Miriana Raschillà, un’adolescente scovata in un liceo romano, in quello del fratello Pietro Del Giudice, altro ragazzo che non aveva mai recitato prima. I loro genitori sono Claudia Pandolfi e Sergio Rubini, che in realtà è un patrigno: un uomo di destra, borghese e meridionale con cui la madre si sistema dopo essere rimasta vedova di un comunista. Abbiamo girato a Roma per 7 settimane, prestando molta attenzione ai costumi – vestiti degli anni ’50 e ’60 dai colori esagerati – e alla musica. La colonna sonora è infatti composta di canzonette di quegli anni, come “Nessuno mi può giudicare”, riarrangiate da Max Casacci dei Subsonica.

Perché una regista di 33 anni sceglie di esordire con un film ambientato in un’epoca che non ha vissuto in prima persona?
L’idea mi è venuta visitando il ‘Museo della Cosmonautica’ di San Pietroburgo. Mi ha impressionato vedere come all’epoca metà del nostro paese tifasse perché il proletariato arrivasse per primo nello spazio. E ho pensato che, piuttosto che rivolgermi all’autobiografismo, per la mia opera prima potevo lavorare con un immaginario forte e riattualizzarlo. Parlo di un mondo che è vicino nel tempo, ma anche molto lontano perché scomparso. Ovviamente, per farlo, c’è stato un grandissimo lavoro di ricerca, visibile nelle diverse immagini di repertorio usate nel film: Gagarin, Valentina Tereskova, l’emozione della folla...

Ne esce il ritratto di un’epoca e di un mondo, quello dei comunisti italiani alla fine degli anni ’50.
Un mondo in cui una adolescente paga il suo essere donna, perché i comunisti di allora erano molto maschilisti e moralisti. In questo senso è importante nella storia anche il rapporto della protagonista con il fratello.

C’è qualcosa che ricorda Mio fratello è figlio unico [+leggi anche:
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intervista: Daniele Luchetti
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Il film di Luchetti, che ho amato molto, raccontava un periodo oscuro e si concentrava sulla storia di due fratelli maschi. Qui lo sguardo è molto femminile e non c’è traccia di periodi drammatici come quello del terrorismo, che è venuto dopo. Io mostro piuttosto l’innocenza perduta di un’epoca.

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