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Lionel Baier • Regista

Giù la maschera

di 

- Dopo due applauditi lungometraggi, il regista Lionel Baier scruta con malizia il piccolo mondo della critica cinematografica nel suo nuovo film, Un autre homme

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descrive il debutto in società di un giovane giornalista. In Garçon stupide [+leggi anche:
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, il suo primo film, aveva già affrontato il tema della difficoltà di diventare adulto. Perché?

Lionel Baier: Oggi non ci sono più tanti riti di passaggio che segnino nettamente la transizione da uno stato all'altro, come esiste invece in altre civiltà. Questi, tuttavia, permettono di definirsi, di svelare la propria personalità, di togliere la maschera. E' la questione dell'identità ciò che più m'interessa nei personaggi. Di fatto, si tratta soprattutto di mostrare come la gente percepisce se stessa.

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Come è nata la sceneggiatura di Un autre homme?
La sceneggiatura si ispira al romanzo del pittore svizzero Félix Vallotton, La vie meurtrière, che racconta la storia di un giovane uomo senza talento che voleva fare il pittore e che finisce per diventare critico d'arte a Parigi all'inizio del XX secolo. A partire da quello, un certo numero di elementi reali sono andati a mischiarsi tra loro. Non mi sono ispirato a un giornalista in particolare per il personaggio di François, ma da briciole di ricordi dell'epoca in cui ero proiezionista in un cinema di Losanna. Dopo le proiezioni stampa, i giornalisti discutevano dei film e i loro discorsi mi hanno sempre un po' intrigato.

Il suo film precedente, Comme des voleurs - A l'Est [+leggi anche:
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era autobiografico. Il legame con la realtà riveste una particolare importanza per lei?

Forse è un'abitudine che ho preso dal cinema non di finzione, poiché ho cominciato facendo documentari. Prima di cominciare a lavorare sulla storia, costruisco un dossier delle fonti, come fanno i registi di documentari. Utilizzo poi il materiale raccolto come elemento di prova per scrivere la sceneggiatura. Mi piace basarmi su elementi reali.

Con gli attori, lavora d'improvvisazione o fate molte prove?
Non chiedo mai agli attori di imparare i dialoghi a memoria, ma di leggere la scena una volta la sera prima delle riprese. Molte modifiche vengono fatte all'ultimo momento. Poi si ripete molto con il testo alla mano. Ci sono alcuni dialoghi che desidero che gli attori ripetano così come sono scritti, ma altre volte chiedo il loro parere e prendo in considerazione i loro suggerimenti.

Secondo lei, è più difficile fare cinema in Svizzera piuttosto che altrove?
No, secondo me è più facile, perché l'ambiente del cinema svizzero è molto piccolo. E' relativamente facile conoscere rapidamente tutti. Mi sembra anche che la nostra posizione di registi sia più tutelata in Svizzera che non in Francia, dove il potere è spesso dalla parte del produttore. C'è sempre un certo rispetto nei confronti degli autori in Svizzera. E quando abbiamo bisogno di autorizzazioni per girare, ad esempio in strada, la gente è pronta a collaborare, mentre in Francia è tutto più caro e più complicato.

Che cosa pensa del cinema svizzero?
Quello che mi piace del cinema svizzero è che non esiste. Di fatto, esistono diversi cinema svizzeri: un cinema tedesco, un cinema romanzo, un cinema ticinese. E' questa la sua forza. Il cinema svizzero ti ricorda sempre che puoi essere una celebrità nella Svizzera tedesca e un perfetto sconosciuto nella Svizzera romanza, e che una star in Francia può benissimo risprofondare nell'anonimato una volta attraversata la frontiera di Mulhouse. Trovo che essere svizzeri ci obblighi a ricordarci che tutto è effimero, piccolo e locale.

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