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Tue Steen Müller, Consulente internazionale sui Documentari

Industria europea del Documentario

- Questa è l’Età dell’Oro dei Documentari. Ecco la mia risposta quando prendo parte a workshops e festival in giro per l’Europa. La risposta alla domanda sullo stato dell’arte: il documentario europeo...


Questa è l’Età dell’Oro dei Documentari. Ecco la mia risposta quando prendo parte a workshops e festival in giro per l’Europa. La risposta alla domanda sullo stato dell’arte: il documentario europeo.

Dico questo in veste di fanatico del documentario la cui professione è stata quella di seguire lo sviluppo del genere sin dal 1975 quando ho iniziato a lavorare al “National Film Board” della Danimarca. Sino ad oggi ho visto una quantità consistente di documentari per essere aggiornato su qualità e diversità del genere. Insegno in scuole di cinema e provo un grande piacere a portare agli studenti i nuovi film di registi finlandesi come Pirjo Honkasalo, inglesi come Kim Longinotto e Molly Dineen, francesi come Nicolas Philibert, slovacchi come Peter Kerekes, russi come Viktor Kossakovski e Sergey Dvortsevoy, lituani come Arunas Matelis e Audrius Stonys. Sono convinto che oggi il documentario abbia i propri autori che a tutti gli effetti possono essere ritenuti delle star.

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Una mutata immagine pubblica dei documentari è una delle ragioni per le quali i Documentari dell’Età dell’Oro non sono più concepiti solo come strumenti di educazione e di informazione. O di semplice propaganda. Oggi, grazie a Michael Moore, e a molti altri che hanno investito in promozione, i documentari sono piacevoli e apertamente provocatori e, grazie agli sviluppi tecnologici, possono essere guardati in diverse situazioni, dal computer al grande schermo. O, naturalmente, nei festival che in questi anni stanno crescendo come funghi.

Ho visto molti documentari geniali e divertenti proiettati da una 16mm Bell&Howell. A dire il vero tutta la storia del film documentario a partire da Flaherty, Grierson e Jennings a Marcel Ophuls, Stefan Jarl e Juris Podnieks.
Ma film eccellenti non erano soliti valicare i confini come invece fanno oggi.
L’internazionalizzazione del documentario ha portato molta ispirazione cinematografica, e sembra che oggi tutto sia “permesso” quando si tratta di fare narrazione. I documentari riprendono dal lungometraggio, la cosiddetta ricostruzione nei documentari non è più in discussione, i film sono narrati in prima persona e il desiderio di giocare con la classica drammaturgia è molto presente.

Nascono molte co-produzioni. Ciò non significa necessariamente film migliori ma film più ambiziosi e importanti.

Si può sostenere che l’Età dell’Oro abbia avuto inizio alla fine degli anni ’80. I documentaristi francesi ottennero il loro “La Sept Arte” che più tardi, assieme all’apporto dei tedeschi, divenne il canale culturale europeo Arte che utilizza ancora i documentari come un elemento importante del palinsesto.

Il lunedì sera Grand Format di Arte, guidato da Thierry Garrel, è stato per molti anni la punta di diamante dei film documentari. Altre emittenti televisive seguirono a livello internazionale con co-produzioni o acquisizioni e con un sostegno molto importante da parte dell’Unione Europea, il cui programma MEDIA (iniziato nel 1990) ha svolto un ruolo centrale nella costruzione di una solida struttura per lo sviluppo dell’industria europea del documentario.

Esiste pertanto un supporto dell’Unione Europea per lo sviluppo e la distribuzione dei documentari; per la formazione dei produttori, per la cooperazione internazionale attraverso programmi quali Eurodoc, Documentary Campus e Ex Oriente; e per festival e mercati quali IDFA ad Amsterdam, Sunny Side a la Rochelle, Jihlava nella Repubblica Ceca e DOK di Lipsia in Germania.

Ma c’è il rovescio della medaglia. Un aspetto paradossale in verità. La storia del documentario europeo nell’ultimo decennio può essere quella di un genere salvato dalla televisione, ma allo stesso tempo è stata proprio l’introduzione di una standardizzazione a rendere molto difficile per i film documentari trovare una vetrina in televisione. E di conseguenza soldi per la produzione. Il taglio finale, ad esempio il diritto di intervenire alla fine prima che il film venga dichiarato completo, non compete più in maniera inequivocabile al regista. Oggi questo diritto può spettare al produttore o all’editore televisivo quale risultato del contratto o semplicemente perché lui o lei lo decide.

Per di più si osserva una crescita a livello nazionale tra le politiche di programma delle emittenti pubbliche. Perché acquistare un bellissimo documentario su un problema sociale all’estero dal momento che abbiamo lo stesso problema qui? Sostenuto, tra l’altro, in nome della concorrenza con i canali commerciali e in virtù di una costante caccia di consensi. E perché produrre un film documentario quando è molto più economico avere un breve reportage sullo stesso soggetto? Ciò lascia sperare molti produttori in un solido sostegno pubblico attraverso gli istituiti cinematografici o direttamente da Ministero della Cultura.

Esistono, ad essere onesti, emittenti pubbliche che sono attive a livello internazionale - YLE Finlandia, svt Svezia, BBC4 con Storyville, la Catalana TV3Š e piccoli canali in Olanda e Belgio- ma se si tiene conto dei canali dell’Europa dell’Est (ad esclusione di TVP, Polanda e ETV Estonia), è molto difficile essere ottimisti. La sfida sta nel portare imponenti meccanismi burocratici nel mondo moderno della co-produzione con produttori indipendenti che sono quelli che apportano originalità e qualità.

Il paradosso sta nel fatto che esiste un pubblico per i film documentari ma questo pubblico non guarda la televisione. Nella maggior parte dei paesi questi spettatori hanno rinunciato trovando i loro film altrove. Aspetto questo che riporta un certo ottimismo.

Ci sono sempre più cinema digitali il che significa che se si desidera avere un film proiettato al cinema non è più necessario fare stampe costose in 35 mm. Lo si può proiettare in digitale. Questo incoraggia la distribuzione dei documentari nei cinema. Esistono molti film che meritano di essere proiettati nei cinema e guardati da molte persone, ma non dovremmo sovrastimare questo aspetto. Il pubblico è relativamente limitato, ma è più numeroso di cinque o dieci anni fa. E’ importante, per la promozione del documentario come genere, che questo sia proiettato nei cinema, che ottenga recensioni e che la gente ne parli. Ecco il modo per creare un’opinione pubblica sull’importanza dei documentari.

In caso contrario sarà il cyberspazio a dover lavorare per il genere. Robert Flaherty sosteneva nei primi tempi del documentario che procurarsi un film è semplice quanto procurarsi un libro. Il suo sogno si è avverato con l’acquisto dei DVD e con il download da Internet così come con il Video on Demand. Quando ho iniziato ad andare ai festival, durante gli anni 70, questi erano per lo più per pochi amanti di buoni film e per professionisti. Questa percezione oggi è completamente differente. Oggi, infatti, sono le cosiddette persone normali che comprano i biglietti per sedersi con gli altri a guardare un documentario. Senza dimenticare che esiste un’enorme differenza tra il sedersi di fronte al proprio computer e il sedersi con altre 500 persone in una sala cinematografica. Ridendo, sospirando, piangendo. Come dicono i Francesi: Le documentaire est un film! [Il documentario è un film!]

Traduzione italiana Viviana Picchiarelli

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