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FILM Italia

Recensione: Nome di donna

di 

- Il nuovo film di Marco Tullio Giordana racconta di una giovane donna molestata sul luogo di lavoro, che sceglie di ribellarsi: un tema più che mai attuale affrontato con rigore e asciuttezza

Recensione: Nome di donna
Cristiana Capotondi in Nome di donna

Ha il sapore di un instant movie, e invece è stato concepito non meno di tre anni fa, il nuovo film di Marco Tullio Giordana, Nome di donna [+leggi anche:
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scheda film
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, incentrato sul tema delle molestie sessuali sul luogo di lavoro. In epoca di #MeToo e #Timesup, e di una rinnovata presa di coscienza della dignità delle donne di fronte a soprusi e discriminazioni subdole, il film di Giordana arriva come un manifesto di ribellione, con la sua protagonista incarnata da Cristiana Capotondi (di recente firmataria insieme a un centinaio di colleghe attrici italiane del documento “Dissenso comune”, che denuncia la molestia come sistema), un’eroina che osa rompere il muro di omertà che la circonda, costi quel che costi, e smascherare il suo capo sporcaccione.

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“Non volevo fare un film di denuncia militante, ma solo raccontare un personaggio femminile coraggioso e quello che succede alle altre donne intorno a lei”, ha precisato Giordana presentando il suo film a Roma. E’ lo scontro tra psicologie personali e tra diverse soglie di tolleranza dinanzi all’abuso che mette in scena Nome di donna, in particolare nella sua prima parte. Nina è una ragazza madre che trova lavoro come inserviente in una residenza per anziani nella provincia lombarda. Già al suo primo colloquio, le domande indiscrete e quel “datti una sistemata” pronunciato dal direttore del personale (un sacerdote affarista impersonato da Bebo Storti) hanno un che di inopportuno. Nina si inserisce comunque bene nel suo nuovo posto di lavoro, lega rapidamente con pazienti e colleghe. Fino al giorno in cui viene convocata nell’ufficio del direttore della struttura (Valerio Binasco), al termine del suo turno, la sera tardi. E l’uomo le salta addosso.

Lo shock, la rabbia (anche verso le colleghe che sapevano e hanno taciuto), la voglia di reagire, la denuncia, l’isolamento, la sospensione dal lavoro, sono descritti e si susseguono puntualmente nella sceneggiatura scritta da Cristiana Mainardi con il regista. E’ in particolare la mancanza di solidarietà tra donne e la loro omertà, l’opportunismo della connivenza e un cupo senso di rassegnazione a pervadere tutta la prima parte del film, in cui al grido di “ho il diritto di lavorare senza che mi mettano le mani addosso” e “non hanno ragione loro, ho ragione io” la nostra eroina cerca pertanto di farsi forza e di proseguire sulla propria strada, sola contro tutti, o quasi. Nella seconda parte, invece, è il versante legal thriller a prendere il sopravvento (indagini, avvocati, ricerca di testimoni riluttanti, processo): ferma restando la nobile intenzione di mostrare, con questo, come anche giuridicamente ci si possa difendere da certi soprusi se si va fino in fondo senza paura, il film a quel punto perde un po’ di presa, incamera nuovi personaggi solo brevemente schizzati e accelera alcuni passaggi.

“Le molestie non rientrano nella deliziosa guerra dei sessi”, ci ricorda il regista, “è tutta una questione di potere che uno ha e l’altro no, dove puoi anche rifiutarti, ma ti costerà caro”. In questo, Nome di donna va dritto all’obiettivo, in modo semplice e asciutto, sottolineando il confine tra quello che “una volta si chiamavano complimenti” (come dice il personaggio di navigata attrice interpretato da Adriana Asti) e la violazione della propria intimità (“una linea d’ombra che chi la oltrepassa, sa benissimo di farlo”, afferma Giordana), scandagliando il riflesso che tutto questo può avere sulla quotidianità del lavoro e dei rapporti umani.

Nome di donna è prodotto da Lumière & Co. con Rai Cinema, con il sostegno della Regione Lazio. Esce in Italia oggi, Giornata internazionale della donna, in 160 copie con Videa. Le vendite internazionali sono affidate alla francese Celluloid Dreams.

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