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BERLINALE 2024 Berlinale Special

Recensione serie: Dostoevskij

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- BERLINALE 2024: L'atmosferica serie dei fratelli D'Innocenzo, che segue un poliziotto disturbato sulle tracce di un serial killer, spinge i cliché del dramma poliziesco ai loro limiti più oscuri

Recensione serie: Dostoevskij
Filippo Timi in Dostoevskij

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(2021), i fratelli Damiano e Fabio D'Innocenzo hanno costruito un affascinante corpus di opere: una propaggine metafisica dei drammi polizieschi e mafiosi, grintosi e realistici, che sono diventati un punto fermo del cinema italiano del dopo Gomorra [+leggi anche:
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(2008). La loro prima serie tv, Dostoevskij [+leggi anche:
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- presentata in anteprima alla Berlinale - è più simile a un lungo film che a una vera e propria sequenza di episodi e continua il loro viaggio elegante e misantropo verso il cuore marcio della società italiana, anche se questa volta li troviamo a giocare con le convenzioni e gli stereotipi consolidati del dramma poliziesco.

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La prima volta che ci viene presentato Enzo Vitello (Filippo Timi), un bell'uomo sulla quarantina dall'aspetto stanco, è sdraiato al centro di un salotto scialbo, con i piedi in primo piano in un'inquietante ripresa dal pavimento. Enzo sta aspettando che la manciata di pillole che ha ingerito faccia effetto e lo liberi da quello che gradualmente scopriremo essere un mondo di dolore. Insieme al grandangolo, gli angoli bassi e alti sono utilizzati in modo allarmante per tutta la serie, enfatizzando il disagio del nostro protagonista che in realtà non riesce a morire: una telefonata sul suo cellulare lo informa che è stata trovata un'altra vittima, e il detective suicida fallito deve tornare al lavoro. Rimaniamo con Enzo per un tempo angosciosamente lungo, mentre si alza a fatica, chiaramente influenzato dai farmaci che ha preso, e esce prima di vomitare le budella.

È un incipit così cupo da risultare quasi divertente, e più volte nel corso della storia di un uomo distrutto alle calcagna di un serial killer inafferrabile, i momenti estremamente cupi e seri provocano una reazione simile. Sebbene la serie sposi a volte una modalità viscerale e realistica, e l'interpretazione di Timi dia un certo fondamento al progetto, la maggior parte di questi accenti di cupezza non vengono percepiti come sviluppi pienamente organici, ma piuttosto come tentativi di giocare e allungare i cliché del dramma poliziesco. Questo palpabile desiderio di scioccare il pubblico, di addentrarsi in un territorio ancora più inquietante del più cupo dei noir nordici o dell'altrettanto umorale True Detective, a volte va a scapito della credibilità o del tono.

Per quanto inverosimili, questi elementi sono quantomeno stuzzicanti e diversi. Resta il fatto che Dostoevskij – questo il soprannome del serial killer, che lascia lunghe lettere su ciascuna delle sue brutali scene del crimine - è molto meno stimolante quando riproduce questi luoghi comuni senza dare loro una svolta. Alla fine della serie, lo stanco stereotipo del detective portato alla follia dall'ossessione per un assassino disturbato diventa qualcosa di completamente diverso, originale e profondamente inquietante. Ma il personaggio della figlia di Enzo, Ambra (l'eterea Carlotta Gamba), una tossicodipendente che nutre sentimenti molto contrastanti nei confronti del padre distante, è poco più che un pretesto per idee piuttosto banali sulla paternità.

Il rapporto padre-figlia fa anche da sfondo a uno degli altri esperimenti più audaci della serie, cioè scene che appaiono in parte improvvisate. Come gli eccessi di violenza, queste scene indicano un’attaccamento a tutto ciò che è aggressivo e crudo che risulta piuttosto acerbo, e molto più banale di quanto lo stile visivo incredibilmente atmosferico della serie suggerisca inizialmente. Come un incrocio tra il realismo cinetico di Thomas Vinterberg in Festen e l'estetica della poesia del quotidiano di Carlos Reygadas, le immagini di Matteo Cocco - girate su pellicola - catturano sia il grigiore che la commovente bellezza della campagna italiana, una vuota terra di nessuno dove tutti quelli che incontriamo sembrano essere in un limbo, sopportando quella che il serial killer descrive come "questa malattia chiamata vita". Come il protagonista di Delitto e castigo di Dostoevskij, Enzo è alle prese con la domanda se l'omicidio possa talvolta essere giustificato, perdendo in questo gran parte della sua sanità mentale. 

Nonostante i momenti meno convincenti, la serie riesce ad attirarci nelle sue profondità, il suo mistero ben strutturato e l'enigma che circonda Enzo ci spingono a continuare a guardare, magari attraverso le dita davanti agli occhi. Ma la cosa più ammaliante è l'atmosfera della serie, il suo umore depressivo che si insinua nella mente come una malattia. Questo audace esperimento dei fratelli D'Innocenzo, della durata di 279 minuti, non è del tutto riuscito, ma vale più che la pena di dargli un’occhiata.

Dostoevskij è prodotto dagli Sky Studios italiani. Le vendite internazionali sono gestite da NBCUniversal. La serie uscirà nei cinema italiani in due parti nel corso dell'anno tramite Vision Distribution, prima di essere trasmessa su Sky.

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(Tradotto dall'inglese)


Photogallery 19/02/2024: Berlinale 2024 - Dostoevskij

9 immagini disponibili. Scorri verso sinistra o destra per vederle tutte.

Filippo Timi, Gabriel Montesi, Carlotta Gamba, Damiano Fabio D'Innocenzo
© 2024 Dario Caruso for Cineuropa - dario-caruso.fr, @studio.photo.dar, Dario Caruso

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