email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

BERLINALE 2023 Encounters

Recensione: In the Blind Spot

di 

- BERLINALE 2023: Il mystery-thriller di Ayşe Polat intreccia molti temi in una narrazione in stile Rashomon, ma chiude il tutto in modo un po' troppo ordinato

Recensione: In the Blind Spot
Nihan Okutucu e Ahmet Varlı in In the Blind Spot

Mystery-thriller con una narrazione in stile Rashomon, In the Blind Spot [+leggi anche:
trailer
intervista: Ayşe Polat
scheda film
]
del regista curdo-tedesco Ayşe Polat ha una premessa intrigante. Racconta una storia di repressione politica, paranoia e trauma transgenerazionale che tiene lo spettatore in sospeso, ma che si conclude in maniera troppo ordinata, lasciando alla fine il pubblico ben poco soddisfatto. Il film è stato presentato in anteprima mondiale nella sezione Encounters della Berlinale e dovrebbe comunque avere un buon successo nei festival che accolgono volentieri l’unione tra sensibilità d'autore e narrazioni di genere.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Una troupe tedesca di documentaristi, composta dalla regista Simone (Katja Bürkle) e dal cameraman Christian (Max Hemmersdorfer), arriva in un'antica città della Turchia nord-orientale per girare un film su Hatice, un'anziana donna curda il cui figlio è stato rapito dalla polizia segreta 28 anni fa. Sono assistiti dall'avvocato per i diritti umani Eyüp (Aziz Çapkurt) e dalla traduttrice Leyla (Aybi Era), che porta con sé una bambina, Melek (Çağla Yurga), figlia del suo vicino di casa, a cui dà ripetizioni di inglese.

Questo capitolo, il primo di tre, affascina lo spettatore per l'evidente tensione politica e la combinazione di tecniche di ripresa: oltre al "nostro" punto di vista attraverso il direttore della fotografia di Toni Erdmann [+leggi anche:
recensione
trailer
Q&A: Maren Ade
scheda film
]
Patrick Orth, guardiamo anche attraverso la telecamera di Christian mentre prepara le riprese, ma vediamo anche immagini sinistre che, in un thriller convenzionale, rappresenterebbero la prospettiva dell'assassino. Tutto ciò conferisce al film un'atmosfera da found-footage horror, soprattutto quando Melek mostra una sorta di facoltà psichica.

La situazione precipita rapidamente quando Eyüp scompare e Leyla informa Simone che il padre di Melek, Zafer (Ahmet Varlı), è un membro della polizia segreta e vuole concedere loro un'intervista in cambio di asilo in Germania. Sia il pubblico che Zafer si chiederanno se questa sia una coincidenza eccessiva, e scopriremo la risposta nel capitolo successivo. Segue un evento scioccante che arriva solo mezz'ora dopo, ma cronologicamente la storia finisce qui.

Ora assistiamo al processo dal punto di vista di Zafer. Apprendiamo che anche suo padre aveva lavorato per lo stesso capo e, mentre Zafer osserva i tedeschi e Leyla, anche lui stesso è spiato: qualcuno gli invia video della sua famiglia. Qui il film vira verso il territorio del thriller paranoico, che Varlı interpreta con un'intensità a volte eccessiva, moltiplicata da Melek che spaventa lui e sua madre con le storie di un amico immaginario che sembra sapere troppo.

Nel capitolo finale, raccontato da un punto di vista "oggettivo", la maggior parte del mistero viene risolta, vanificando in sostanza il suo scopo. Il film combina la sua fotografia principale con video di smartphone e riprese con telecamere nascoste, il che lo fa sembrare ampio e ricco in superficie, ma il montaggio eccessivamente ordinario di Serhad Mutlu e Jörg Volkmar rende la struttura del film troppo ovvia, privandolo della magia cinematografica.

D'altra parte, la città in cui si svolge la storia è un'ambientazione eccellente che combina magnifiche rovine antiche con vicoli bui e stretti e cantieri abbandonati. È quindi uno sfondo ideale sia per il mistero sia per il tema generale del trauma transgenerazionale, che viene elaborato attraverso due aspetti: la storia di Hatice sulla repressione dei curdi e la professione violenta di Zafer, ereditata dal padre. Sono sempre gli innocenti a subirne le distruttive conseguenze psicologiche e, in questo caso, Melek continuerà a portare questo fardello.

In the Blind Spot è prodotta dalla tedesca Mitosfilm, mentre ArtHood Entertainment detiene i diritti internazionali.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dall'inglese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy