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LANZAROTE 2023

Tana Gilbert • Regista di Malqueridas

"Confidavamo molto in queste immagini, sapevamo di avere un tesoro da proteggere"

di 

- Abbiamo parlato con la regista cilena del suo debutto cinematografico, una storia carica di umanità e rispetto su donne che vivono la loro maternità dal carcere

Tana Gilbert  • Regista di Malqueridas
(© Bruto/Muestra de Cine de Lanzarote)

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ha trionfato alla Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia e ora ha fatto lo stesso alla 13ma edizione del Mostra del Cinema di Lanzarote. Ne abbiamo parlato con la regista, che ritrae una realtà dolorosa e ingiusta con il massimo rispetto.

Cineuropa: Come è entrata in contatto con le donne protagoniste del suo film?
Tana Gilbert:
Tutto è iniziato con l'immagine di un uomo privato della libertà in Guatemala, apparsa su un giornale cileno. Mi ha incuriosito e ho iniziato a indagare su Facebook. A quel punto il mio algoritmo è andato in tilt e ho iniziato a vedere diversi uomini nelle carceri guatemalteche, passando poi ad altri Paesi fino ad arrivare alle donne in Cile. La questione del carcere era in discussione in Cile in quel periodo. Così è entrata in scena madre Nelly, la cappellana del carcere di San Joaquín, il più grande carcere femminile di Santiago. È la portavoce dei problemi di classe in Cile per quanto riguarda le carceri. È stato allora che ho deciso di fare il film con Paula Castillo, che è la mia produttrice e anche la mia maestra.

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Il film racconta una storia che è un compendio delle storie di circa venti donne. Qual è stato il processo di creazione di questa particolare storia?
Abbiamo avuto diverse conversazioni con più di venti donne. Con Alejandra Díaz, una delle ricercatrici del film, abbiamo avuto conversazioni molto profonde. Poi le abbiamo trascritte e analizzate per iniziare a scrivere questa storia sul viaggio della maternità all'interno del carcere. Abbiamo segnato le tappe comuni a tutte le storie, che erano molte. Poi ci siamo resi conto che a molte di loro erano morti i figli e abbiamo deciso di concentrarci su questa esperienza.

Il film è costruito con immagini riprese in carcere dalle stesse detenute con i loro telefoni, il cui uso è vietato. Com'è stato il processo di raccolta e selezione di queste immagini?  
Una follia. Abbiamo raccolto più di 4mila foto e quasi 2mila video. Con Javi Veloso, la montatrice del film, abbiamo iniziato un processo di categorizzazione delle immagini, creando le scene e le sequenze dei film. Pensando sempre alla storia che stavamo raccontando e cercando di distaccare ciò che raccontiamo attraverso le immagini e ciò che raccontiamo attraverso la voce.

La maternità in carcere è al centro del film: com'è stato emotivamente per lei e per le donne protagoniste affrontare un tema così delicato in circostanze così dure?
È stato molto forte per me, ma anche molto trasformativo. Malqueridas ha segnato la mia posizione politica nei confronti del cinema. Per quanto io abbia vissuto esperienze da adolescente e la mia vita sia cambiata completamente, c'è una questione di classe segnata dal luogo di nascita, che determina la tua crescita. È per metà predeterminato dalla società, dallo Stato, dal capitalismo e da molti fattori.

Sullo schermo vediamo le immagini in formato verticale, come attraverso un telefono cellulare, qualcosa di poco cinematografico a prima vista. Non temeva di turbare lo spettatore con questa scelta?
Non l'ho mai pensato. Abbiamo pensato molto a come rappresentare la storia, ma pensando più a come mettere in relazione i bambini che sono fuori con le loro madri incarcerate, e molto meno allo spettatore. Abbiamo osservato molto, siamo stati molto vicini ai figli di Karina, che è la voce narrante del film. Questo è servito a rafforzare il legame, abbiamo creato relazioni molto profonde. Fin dall'inizio confidavamo molto in queste immagini, sapevamo di avere un tesoro che dovevamo salvaguardare per farlo durare nel tempo.

Malqueridas offre una visione rispettosa della vita delle persone detenute, l'opposto di ciò che spesso viene offerto dal cinema commerciale e dai media. Qual è la posizione del film rispetto a queste altre narrazioni onnipresenti?
Sento che le posizioni politiche stanno diventando sempre più estreme, soprattutto quelle dei neofascismi. E sono preoccupata per la posizione del cinema in questo contesto, penso che dobbiamo resistere. Anche se non cambieremo molto a livello di politiche pubbliche, penso che dobbiamo resistere. C'è l'urgenza di affrontare questi temi, di parlare a gruppi che sono stati storicamente emarginati dalle nostre società. Ha molto senso farlo e lo si vede quando si proietta il film in spazi come questo festival ed emergono punti di vista diversi. Mi piace molto quando ciò accade, genera un dialogo che a volte può essere scomodo, ma anche fruttuoso.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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