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VENEZIA 2023 Orizzonti

Céline Rouzet • Regista di En attendant la nuit

"Il film è percorso da uno sguardo di desiderio e di pericolo"

di 

- VENEZIA 2023: La regista francese evoca la figura simbolica del vampiro, la commistione di generi e l'impossibilità di inserirsi nelle pretese normative della società

Céline Rouzet • Regista di En attendant la nuit
(© Manuel Moutier)

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, il primo lungometraggio di Céline Rouzet dopo il documentario 140 km à l’ouest du paradis [+leggi anche:
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, è stato presentato in Orizzonti all'80ma Mostra di Venezia.

Cineuropa: Come è nata l'idea di mescolare film di vampiri, film per famiglie e film per ragazzi?
Céline Rouzet: Qualche anno fa la mia famiglia è stata copita da una tragedia e non riuscivo a pensare a un modo più forte della fiction per raccontare la storia. Trovavo che il cinema di genere avesse senso. Amo il lirismo e il romanticismo che il genere ti permette, si possono esasperare le situazioni e l'intensità delle emozioni e delle sensazioni. Ma ti permette anche di prendere le distanze da una realtà che può essere molto dura e crudele, in questo caso prendendo le distanze dalla mia storia personale che non avrei mai potuto raccontare in modo realistico. La figura del vampiro è molto interessante perché è un mostro fragile, incompreso, spaventoso, la cui condizione è invisibile a prima vista. Nel cinema è una figura che ha spesso rappresentato la dissidenza e la marginalità, ed è anche altamente erotica e cinematografica. Nel film, tratto il vampirismo come qualcosa di misterioso, come una malattia orfana o un difetto di nascita. È quasi un caso di studio: che cosa succede quando un ragazzo con sintomi vampireschi arriva con la sua famiglia in un sobborgo tranquillo, privo di eventi e molto normativo?

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Come ha trattato la posizione della famiglia che affronta al meglio la complicata vita quotidiana di un figlio vampiro?
Volevo raccontare la storia dell'impossibile integrazione tra un ragazzo anormale e la sua famiglia, e di come questa famiglia sia pronta a fare qualsiasi sacrificio per proteggerlo, ma anche di come possa soffocarlo cercando sempre di aiutarlo a fare di tutto per essere normale, per adattarsi, per rientrare negli schemi, il che significa negarsi un po', morire un po'. Volevo che si affrontasse la stranezza di questa famiglia e abbiamo lavorato molto su questo aspetto nella sceneggiatura con William Martin. Fin dall'inizio, dovevamo rendere molto toccante questa famiglia piuttosto insolita, accattivante, un po' in malafede, felicemente disordinata nella loro casa. Abbiamo lavorato su una sorta di ironia drammatica: siamo con loro nelle bugie, quando rubano il sangue e così via. Doveva essere gioioso e dovevamo trovare un tocco di luce e di umorismo, anche se la tensione, il disagio e il dramma aumentano man mano che si va avanti, perché si tratta pur sempre di una famiglia di combattenti esausti che stanno tentando l'ultima possibilità e si scontrano con un muro, cercando di fare tutto il possibile per garantire a questo ragazzo il diritto a una vita decente. Non volevamo mai perdere la tensione e il senso i pericolo, perché in fin dei conti si tratta di una storia seria, piena di drammaticità. Mescolare i generi mi ha permesso di farlo, perché ho potuto anche iniettare del romanticismo, un po' di luce con l'amore. Il film parla anche della finzione e delle convenzioni sociali che nascondono la violenza, ma anche di una famiglia che mente per cercare di fingere di essere come tutte le altre.

Che atmosfera voleva creare?
Il film è ossessionato dalle emozioni di Philemon e dalla sua visione del mondo, una visione fatta di desiderio e pericolo, per cui il film oscilla costantemente tra la violenza e una certa sensualità e tenerezza. Ho voluto utilizzare inquadrature composte, movimenti di macchina raffinati, colori vivaci e staccare un po' dalla realtà, introducendo un tocco di onirico e un po' di lirismo con una luce che avesse un che di fantastico, che fossimo in un mondo un po' inquieto, che qualcosa aleggiasse impercettibilmente. I riferimenti estetici erano Il giardino delle vergini suicide, Chiamami col tuo nome [+leggi anche:
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, e un po' di It Follows. Dovevamo anche far sembrare il giorno pericoloso, dove le ombre e la notte sono un rifugio. Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso l'ambientazione di questo sobborgo di lusso e isolato (dato che per arrivarci bisogna attraversare un ponte e poi una foresta), con la sua perfezione colorata e liscia che è un po' inquietante, la sua stranezza inquietante, i suoi sorrisi un po' troppo presenti. Ma è anche il sonoro nella foresta a farla da padrone, con suoni di animali della giungla e del selvaggio west.

Il film fa riferimenti diretti a Kathryn Bigelow, George Romero e William Friedkin, tra gli altri.
È un gioco, ma ha sempre senso per il film. Sono molto legata al cinema d'autore, ma anche ai riferimenti più popolari alla Spielberg e al cinema di genere che ha riferimenti politici.

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(Tradotto dal francese)

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