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VENEZIA 2023 Orizzonti

Alain Parroni • Regista di Una sterminata domenica

“Ho raccontato lo spaesamento dei ragazzi attraverso la luce, i suoni, l’ambiente”

di 

- VENEZIA 2023: Il regista ci parla dello studio preliminare sulla generazione a cui lui stesso appartiene e dello straordinario approccio visivo nel suo film

Alain Parroni  • Regista di Una sterminata domenica

Alex, Brenda e Kevin sono tre ragazzi sempre connessi tra loro che si muovono tra il litorale di Roma, dove vivono, e il centro della città. Alain Parroni, regista di Una sterminata domenica [+leggi anche:
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, presentato in concorso nella sezione Orizzonti della 80ma Mostra di Venezia ci parla dello studio preliminare sulla generazione a cui lui stesso appartiene, del suo straordinario approccio visivo, della partecipazione di Wim Wenders come coproduttore.

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Cineuropa: Nelle note di regia scrivi “La mia generazione è una questione di linguaggio”. In che modo hai studiato questo linguaggio per preparare il film?
Alain Parroni:
Come giovane regista mi interrogo sul perché utilizzare proprio il cinema. Per raccontare una storia avrei altri mezzi, una podcast, una serie tv… Mi interessa molto l’esperienza della sala, della relazione dell’immagine con il suono all’interno della sala. Per scrivere il film ho seguito tanti ragazzi, ho realizzato interviste per circa sei anni, tornando da loro a distanza di due anni per capire come erano cambiati.  Mi sono reso conto che nelle interviste che facevo, era sempre il mio punto di vista che dominava sul loro. “Spiandoli” sui social vedevo come si raccontavano da soli e quanto fosse reale il loro punto di vista: oggi per dirti che sto mangiando ti spedisco una foto del piatto. Il fatto che non ci sia nelle scuole un’educazione reale a questa grammatica mi spinge a chiedermi cosa succederà nel futuro. Oggi c’è un enorme spaesamento tra i ragazzi riguardo all’utilizzo delle foto, che possono diventare delle vere e proprie armi. Ho riflettuto su questi punti ma anche sul vuoto che vivevo nel momento in cui ho iniziato a scrivere il film. Dai 24 anni in poi non sai bene cosa fare della vita, quali sono gli strumenti che ti servono per affermarti e soprattutto per riconoscerti, per capire chi sei.

Nel film, al linguaggio e alla cultura dei protagonisti contrapponi quelli della nonna di Brenda, fatti di saggezza antica e di riti magico-religiosi.
La religione, soprattutto in provincia, è uno degli strumenti educativi di un ragazzo, dopo la famiglia e la scuola. Se fai il cattivo vai all’Inferno… C’è una relazione costante con la morte, che determina il tuo comportamento. La religione in provincia si confonde molto con la superstizione e la nonna rappresenta questo. Mentre nel film i genitori sono totalmente assenti. La fascia di età dai vent’anni ai cinquanta non esiste nella realtà di quella comunità, c’è un’assenza inconscia, a loro non importa dei ragazzi che stanno crescendo. Ragazzi e anziani sono abbandonati a loro stessi.

Per gran parte del film, i tre protagonisti sono in auto ma non vanno veramente da nessuna parte.
E’ un on the road senza benzina. La dimensione del viaggio ricorre spesso nei film. Ma i miei protagonisti passano il tempo in macchina, in certi casi solo godendosi il venticello, con l’illusione di stare procedendo. Il film si basa su pochi spunti narrativi, di conflitto, e cerca di dare risalto all’ambiente che circonda i tre ragazzi, alla luce, alle strutture architettoniche che li circondano, per raccontare le loro emozioni più che altro attraverso la costruzione sonora, che è stata anch’essa un elemento fondamentale, pensato per la fruizione in sala.

Quali sono stati gli effetti dell’entrata di Wim Wenders nella coproduzione del tuo film?
Per un’opera prima è importante scegliere il produttore giusto, Ho iniziato a mettere in piedi il film con Giorgio Gucci di Alcor, conosciuto al Centro sperimentale di cinematografia. Lui ha ricevuto un primo assenso di Fandango e voleva mettere in piedi una struttura produttiva che fosse non solo un sostegno economico ma anche artistico. Ha ricevuto un primo rifiuto dagli assistenti di Wenders, che stava girando il documentario su Papa Francesco (Papa Francesco - Un uomo di parola [+leggi anche:
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). Ma in seguito Wim ha capito che il film non parlava di religione ma di giovani, ed è entrato nel progetto.

E’ molto interessante l’uso che fai della luce, sembra un elemento visivamente fondamentale del film.
Il direttore della fotografia Andrea Benjamin Manenti è riuscito a creare un programma che ci permettesse di riprendere i momenti migliori e anche a costruire un set up della macchina da presa che mi aiutasse a muovermi leggerissimo, quasi come se stessi girando con uno smartphone. In postproduzione, il colorist Alessio Zanardi, che ha un passato di restauratore di pellicole classiche, ha cercato un equilibrio tra contaminazioni, lavorando sulla grana.

Che tipo di cinema ti piace e ti ispira? Nel film si intravedono molti riferimenti.
Sono cresciuto in un momento in cui si scaricavano tanti film, anche quelli in bianco e nero. In Una sterminata domenica ci sono tantissimi input che provengono dai classici e da tanti film giapponesi soprattutto dei primi anni del Duemila, quando i filmmaker giapponesi hanno cominciato ad assorbire la cultura del digitale, a usare le camere in maniera leggera, come Toshiaki Toyoda e Hideaki Anno, a cui ho anche rubato il compositore, Shirō Sagisu, che ha lavorato anche con Anno, per Shin Godzilla, e proviene dal mondo degli anime. Sembrava una scelta folle ma Sagisu ci ha fatto capire quanti mostri ci fossero in questa città che raccontavamo.

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