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SAN SEBASTIAN 2018 New Directors

Laurits Flensted-Jensen • Regista

“La mia infanzia è stata molto improntata sullo sfidare le convenzioni”

di 

- SAN SEBASTIÁN 2018: Ci siamo messi comodi a parlare con il regista danese Laurits Flensted-Jensen, il cui debutto caratteristico, Neon Heart, è stato proiettato nella sezione Nuovi Registi

Laurits Flensted-Jensen  • Regista
(© Lorenzo Pascasio)

Il regista danese Laurits Flensted-Jensen, il cui debutto cinematografico, Neon Heart [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Laurits Flensted-Jensen
scheda film
]
, è in programmazione nella sezione New Directors del San Sebastián Film Festival, racconta a Cineuropa le varie influenze che hanno inciso sul suo dramma sentimentale dove il mondo di un’attrice porno, di alcuni fratelli e di persone affette dalla sindrome di Down, si intrecciano.

Cineuropa: Da dove è arrivata l’idea per Neon Heart?
Laurits Flensted-Jensen: Ho sempre esplorato i tabù e le questioni sessuali nei miei precedenti lavori, come Melon Rainbow, il progetto di diploma alla National Film School in Danimarca. Ho voluto continuare a esplorare questi temi anche qui.

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Ed è per questo che ha deciso di iniziare il film con la scena forte di una donna che fa il provino per un film porno?
Mi è sempre piaciuto iniziare con scene ad effetto. Mi piace lanciarmi direttamente nel film e non creare quel lento incipit introduttivo alla storia. Penso che derivi dallo stile del film: volevo che fosse molto realistico e autentico.

Ha deciso di giocare molto sull’idea di passato e presente usando dei video pubblicati su Internet.
Era proprio uno dei capisaldi del film. Volevo avere questi frammenti che rompessero l’intero concetto di tempo nel film. Volevo i frammenti, ma non volevo che venissero percepiti come regolari flashback. Volevo che si integrassero nella realtà di tutti i giorni, per creare una sorta di disorientamento.

Ci sono dei fratelli che sono protagonisti nel film e lei ha deciso di usarli come esempio per esplorare la mascolinità.
Da quando ho iniziato a girare film, sono sempre stato affascinato dai legami tra gli uomini e gruppi di uomini, così come anche l’amicizia tra uomini, pertanto questa ha rappresentato un’evoluzione normale di quel tema dove la mascolinità ha rappresentato una tematica notevole nella mia crescita. Come il protagonista del film, anche io sono cresciuto in una comunità femminista e questo è un elemento estremamente personale rubato dalla mia via. Ritengo che la mascolinità e l’idea di mascolinità fossero argomenti estremamente interessanti, motivo per cui ho sviluppato un certo interesse nei loro confronti.

Cosa intende dire con l’essere cresciuto in una comunità femminista?
Sono cresciuto con mia mamma e mia sorella, che facevano parte di una comunità femminista in Danimarca allora. Mia madre era una figura di spicco in quell’ambiente, quindi questo fattore è stato di notevole impatto sulla mia vita. Mia madre mi portava a questi incontri, vietati agli uomini adulti.

In che modo tutto ciò è riuscito ad evolversi in un interesse verso i tabù sessuali?
Perché, in quanto essere umano, mi interesso a queste cose? Penso che la mia infanzia fosse molto improntata sullo sfidare le convenzioni, specialmente in merito alla sessualità, quindi penso che ci sia un interesse naturale insito in me nell’approfondire questi argomenti.

Il fratello maggiore, interpretato da Niklas Herskind, è un personaggio intrigante nel culmine della scoperta della mascolinità.
Ho sempre mirato ad avere personaggi che fossero imprevedibili e tridimensionali con grandi contrasti. Penso che il fatto che questo personaggio non sia in grado di mantenere alcuna relazione privata ma che riesca ad occuparsi con cura di questi uomini con la sindrome di Down, lo renda molto interessante e la ritengo grandiosa come cosa. Tuttavia, c’è anche un rovescio della medaglia: per quanto capace di occuparsi di queste persone, tende a manipolarle un po’.

Ha scritturato persone che realmente soffrivano della sindrome di Down. Perché questa scelta?
L’autenticità è una parte sostanziale del mio linguaggio e di come mi esprimo. Così, sapevo fin dall’inizio quando ho avuto l’idea per quella scena nel bordello che dovevo ingaggiare persone realmente affette dalla sindrome di Down. Sapevo anche quanto sarebbe stato complicato, ma avevo bisogno di confrontarmi con quella realtà e uscire dagli schemi per approfondirla con persone reali così da avere il diritto di raccontare quella storia o di veicolare quella scena al pubblico. Certamente, con la sindrome di Down, non c’è alcun modo di interpretarla: doveva essere reale.

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(Tradotto dall'inglese da Carlotta Cutrale)

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