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BERLINALE 2018 Berlinale Special

Martin Šulík • Regista

“Se ci si dimentica del passato, si è bersagli facili per i demagoghi”

di 

- BERLINO 2018: Cineuropa ha incontrato il regista slovacco Martin Šulík per parlare del suo ultimo film, The Interpreter, dell’importanza del passato e delle due star scelte

Martin Šulík  • Regista
(© Titanic/František Kolar)

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Peter Simonischek, e il regista ceco premio Oscar Jiří Menzel. Cineuropa ha parlato con il regista della sua ispirazione per il film (proiettato al Berlinale Special del Festival di Berlino), i suoi protagonisti e il ricordo della storia. 

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Cineuropa: Ha detto che il libro The Dead Man in the Bunker di Martin Pollack l’ha ispirato per The Interpreter. Cos’altro ha contribuito alla creazione della storia?
Martin Šulík: Quando abbiamo iniziato a pensare al nostro film con lo sceneggiatore Marek Leščák, abbiamo capito che i fatti storici che consideriamo evidenti sono nuovamente relativizzati in Europa. L’Olocausto viene negato, il fascismo è presentato come un efficiente programma economico, le vicende storiche sono ignorate e la realtà capovolta. Ci siamo chiesti cosa coloro che hanno perso i propri genitori in guerra potevano pensare di questa situazione e un giorno è saltato fuori il personaggio di un interprete ebreo, Ali Ungár, che decide di scoprire la verità sulla morte dei suoi genitori. Il viaggio che intraprende attraverso la Slovacchia è un’occasione per lui di ripensare alla sua vita.

Il ruolo di Ali Ungár era stato scritto per il regista Juraj Herz. Com’è arrivato Jiří Menzel? 
Juraj Herz si è sentito male due settimane prima delle riprese e avevo paura di dover abbandonare tutto. Non sapevo dove avremmo potuto trovare un attore sull’ottantina che parlasse slovacco e tedesco, e che sarebbe stato tanto coraggioso nel viaggiare per la Slovacchia per 32 giorni. Alla fine, il produttore Rudolf Biermann ha pensato di chiamare Jiří Menzel. Ha recitato in un mio film, Everything I Like, 25 anni fa. Jiří ha letto la nostra sceneggiatura, ci ha pensato per due giorni e alla fine ha accettato la nostra offerta. E’ stato molto coraggioso da parte sua. Non abbiamo dovuto cambiare nulla grazie a lui. Solo adesso mi rendo conto che il nostro film non sarebbe mai stato realizzato senza di lui.

Come è arrivato Peter Simonischek nel film?
Avevamo visto Peter in Vi presento Toni Erdmann e ci piaceva molto il suo senso dell’umorismo e la gentilezza emanata dalla sua persona. Gli abbiamo inviato il copione e ha accettato. Non abbiamo potuto dargli alcun tipo di trattamento speciale o comfort d’eccezione. Mi spiaceva l’idea che avrebbe dovuto fare i conti con tutti gli orari del viaggio e delle riprese. Tutto è cambiato dopo il nostro primo incontro. Peter si è seduto a un tavolo, ha tirato fuori un taccuino e mi ha chiesto che idea avessi sul personaggio. Mi aveva levato un peso dalle spalle. Lavorare con lui è stata una fonte di ispirazione. Peter è un uomo con una ricca esperienza sulla vita che può utilizzare per incarnare un personaggio. Ha una grande consapevolezza del linguaggio e ci ha aiutato a trovare le battute giuste del suo personaggio e di quello di Jiří.

Gli altri temi del film includono la storia e l’oblio. Perché affronta il tema del ricordo nel film? 
Credo a quello che scrisse Orwell, che controllare il passato consente di controllare il futuro. Manipolando la storia, si presentano le condizioni per avere il controllo nel mondo di domani.  Se non si conosce il passato e lo si dimentica, si è bersagli facili per i demagoghi di qualsiasi tipo.

Il film mostra il racconto di Anna Nováková, l’ultima testimone del massacro del gennaio 1945. Perché ha deciso di inserirla?
Ho sentito la testimonianza di Anna Nováková alla radio da bambino. Parlava di come tutta la sua famiglia fosse stata fucilata e come lei fosse sopravvissuta per caso rimanendo sotto il cadavere di sua sorella. Volevo che ciò venisse ascoltato nel film perché è una prova dei mostruosi crimini di guerra commessi che non possono essere dimenticati. L’estratto proviene da un documentario di Dušan Hudec.

I suoi film sono noti per il loro realismo magico. Perché questa volta ha optato per un genere road movie?
Il motivo del viaggio è sempre legato alla scoperta, alla scoperta del segreto. Con lo sceneggiatore Marek Leščák, abbiamo trovato interessante realizzare una storia in modo tale che i protagonisti potessero scoprire non solo il paese e i suoi abitanti, ma anche la storia dei loro genitori e soprattutto se stessi mentre girano la Slovacchia. Inoltre abbiamo amato l’idea di avere due veterani come eroi di un road movie.

The Interpreter non parla solamente del passato, ma anche dell’invecchiamento. Perché?
Credo perché anch’io sto invecchiando e sento la necessità di guardare indietro di tanto in tanto. Quando si riassume la propria vita, ci si rende conto di molte cose interessanti. Si può arrivare a far crollare alcune illusioni, ma si può anche capire la verità, una verità che prima è stata sfuggente. 

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(Tradotto dall'inglese da Francesca Miriam Chiara Leonardi)

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