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Léa Mysius • Regista

"Volevo un’ibridazione di generi"

di 

- CANNES 2017: Incontro con la promettente cineasta francese Léa Mysius, che ha presentato il suo primo lungometraggio, Ava, in concorso alla Semaine de la Critique

Léa Mysius  • Regista
(© Alice Khol / Semaine de la Critique)

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, un’opera d’atmosfera e originale, che strizza l’occhio a diversi generi e dimostra, in un colpo solo, uno stile personale che promette molto bene.  

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Cineuropa: Ava è la sceneggiatura che lei ha scritto come lavoro di fine anno alla scuola La Fémis. Qual è stato il punto di partenza per questa storia?
Léa Mysius: Ho cambiato il soggetto poco prima della data di scadenza imposta dalla scuola, quindi ho dovuto scrivere questo copione molto velocemente e, per farlo, sono partita dall’immagine di un cane, che era già apparso in uno dei miei cortometraggi, Les Oiseaux-tonnerre. Mi sono immaginata un cane nero, un po’ strano, famelico, che passeggia su una spiaggia affollata molto artificiale. È la miscela tra selvaggio e artificiale che volevo mostrare. È stata la prima immagine e mi dicevo che sarebbe dovuto arrivare fino all’eroina della storia, ma a quel tempo non sapevo ancora chi sarebbe stata.

Mentre scrivevo la sceneggiatura per il mio diploma, ho sofferto di emicranie oftalmiche che mi hanno costretta a lavorare al buio. È così che mi sono posta la questione di sapere come sarebbe stato se fossi diventata cieca. Mi sono quindi interessata alla retinite pigmentosa, una malattia degenerativa per cui il campo visivo si riduce a un cerchio: tutto si restringe poco a poco, fino a scomparire. Le persone colpite perdono anzitutto la vista con la luce fioca, in particolare durante la notte, e può accadere a qualunque età, anche a 13 anni, come nel caso di Ava.

Ha scelto di combinare quest’idea  alla storia di un’adolescente che vuole scoprire l’amore e il desiderio.
La malattia, il fatto che la ragazza scopra che perderà la vista prima del previsto e che tutto sta precipitando: Ava si trova nella fase di passaggio dell’adolescenza, ma è obbligata ad andare più veloce di tutti gli altri, perché vuole vedere prima di non poterlo più fare. D’altra parte, a un certo punto della trama, afferma che ha paura di vedere soltanto la bruttezza. Quindi vuole vedere di più. Ava è anche una giovane ragazza che, all’inizio, è molto disgustata dal corpo. È molto pudica, ha un problema con sua madre che, al contrario, è molto libera, e ha un problema con la gente in spiaggia, perché la obbligano ad andare in vacanza là dove ci sono corpi dappertutto. Diventando cieca, è costretta poco a poco ad accettare il proprio corpo, a sviluppare gli altri sensi e quindi a diventare una donna.

Cosa può dirci dell’altro tema del film, con l’incontro di Ava con un giovane gitano sullo sfondo di uno Stato di polizia nascente?
Volevo che il fatto che lei perda la vista assumesse anche una dimensione metaforica, nel senso che il mondo si oscura attorno a lei, come le suggerisce il personaggio di Matthias, che evoca “la fine della civiltà”. Ma l’idea è anche venuta dal fatto che scrivo di luoghi che conosco e, in quello da cui provengo, il Fronte Nazionale ha guadagnato il 50% di voti alle elezioni legislative di cinque anni fa. Là gli stranieri sono gli zingari e le persone del posto sono comunque estremamente razziste. Volevo mostrare questo lato un po’ liberticida di una società in cui Ava, scegliendo qualcuno di diverso, realizza già un atto quasi politico, e in cui andare via per vivere la sua utopia con lui rappresenta veramente la libertà.

Ci sono infatti due parti ben distinte nel film: una volta che c’è stato l’avvicinamento e l’amore è stato consumato, emerge un lato quasi alla Bonnie and Clyde.
Volevo un’ibridazione di generi e passare via via da un genere all’altro. L’inizio è molto naturalista, poi, poco a poco, ci immergiamo nel racconto, fino ad arrivare quasi a un film di genere. Doveva essere un passaggio progressivo e alla fine, quando Ava si ritrova in qualcosa di romanzesco, vuole vedere delle cose, ed è immersa nella gioia di vivere nel piacere, allora anche il film deve staccarsi dal naturalismo e decollare, in modo che anche lo spettatore viva quella stessa gioia.

Il momento in "split screen", molto giocoso, segna questa rottura di tono.
Desideravo che i personaggi si divertissero e che il film permettesse agli spettatori di sorridere un po’, perché si tratta comunque della storia di una ragazza che sta perdendo la vista e un film sulla vita e sul desiderio. Mano a mano che la vista le si abbassa, lei scopre il suo corpo e il desiderio, si apre, acquista fiducia negli altri. C’è il gioco e l’amore, perché Ava è un film d’amore.

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(Tradotto dal francese)

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