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Gianni Amelio • Regista

“Abbiamo bisogno di tenerezza per scacciare l’ansia”

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- Il pluripremiato regista Gianni Amelio parla del suo nuovo film, La tenerezza, in anteprima mondiale al Bif&st di Bari

Gianni Amelio • Regista

Una storia di sentimenti inquieti, tra padri e figli, fratelli e sorelle, mariti e mogli, ambientata in una Napoli inedita, lontana dalle periferie, dove il benessere può mutarsi in tragedia e dove gli immigrati sfiorano le nostre vite quotidiane. E’ La tenerezza [+leggi anche:
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intervista: Gianni Amelio
scheda film
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, il nuovo film di Gianni Amelio, in anteprima mondiale al Bif&st di Bari il 22 aprile e nelle sale italiane dal 24 da 01.

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Cineuropa: Il film si apre e chiude con il processo a un presunto terrorista. La figura dello straniero ricorre più volte, in diverse forme. Che immagine ne voleva dare?
Gianni Amelio:
Di qualcosa che sta vicino a noi e che spesso non capiamo perché siamo prevenuti. Nella scena più significativa c’è un gesto fisico di ribellione da parte di Elio Germano, quando il venditore di cianfrusaglie si avvicina per offrirgli un accendino. Se sei seduto al bar, può capitare che ne passino venti nell’arco di un’ora, e anche se c’è da parte tua la volontà di aiutarli, non puoi farlo con tutti perché non è giusto dal punto di vista politico, non risolve il problema della presenza degli immigrati nel nostro paese e in Europa. Non volevo fare un quadro pittoresco della nostra società, è un quadro scavato nel profondo con cui i personaggi hanno a che fare, ma anche noi spettatori. Ho voluto mettere una protagonista (Giovanna Mezzogiorno) che di mestiere fa la traduttrice dall’arabo e lavora a contatto con gli arabi e fiuta anche delle cose, e dall’altra parte la nostra vita alle prese tutti i giorni con un problema che la politica in qualche modo deve risolvere.

Che cos’è la tenerezza, secondo lei?
Non so ancora se è un sentimento, un gesto. Il titolo è venuto pensando al finale, alla testardaggine con cui il personaggio di Elena cerca di recuperare un gesto da suo padre. E’ ciò di cui abbiamo bisogno per scacciare l'ansia, ora che siamo prigionieri di un mondo dove non sai cosa ti potrebbe succedere tra un secondo. Il percorso che fa Elena nel film è scardinare la chiusura del padre e forse guarirlo, perché Lorenzo è un essere fragile. Il mio riferimento è in Ladri di biciclette, uno dei finali più straordinari della storia del cinema, quando il bambino con coraggio e istinto prende la mano del padre che è stato bastonato.

Renato Carpentieri presta il volto al suo dolente protagonista, Lorenzo. Come ha scelto lui e il resto del cast?
E’ da 27 anni che volevo fare un altro film con Renato Carpentieri (dopo Porte aperte, ndr) perché lo considero un attore straordinario, e d'ora in poi vorrei fare un film all'anno con lui per altri 27 anni! Volevo proprio loro. Se ho un pregio come regista, è quello di aver fiuto per gli attori. La scelta è fondamentale, i compagni di viaggio sono quelli che te lo rendono bello o un inferno. Micaela Ramazzotti ed Elio Germano hanno stabilito un dialogo fra loro che è andato oltre al copione, come nella scena del pranzo domenicale in cui lui imbocca lei, senza guardarla, perché conosce talmente bene il viso di sua moglie da non aver bisogno di vedere dove mette il cucchiaino. Una scena di intimità e vicinanza dei corpi che mette Lorenzo un po’ in imbarazzo, e che io non ho potuto controllare perché hanno fatto tutto loro.

Il film è liberamente ispirato al romanzo “La tentazione di essere felici” di Lorenzo Marone. Come lo ha trasformato?
Il protagonista assoluto del romanzo di chiama Cesare ma non ha niente a che vedere con Lorenzo. Soprattutto il carattere è un’altra cosa, nel libro è un provocatore, una specie di mattatore. Io ho messo nel personaggio un’inquietudine che mi appartiene e che condivido con Renato, che è mio coetaneo, una sorta di rifiuto dell’età che avanza: la trovo una cosa ingiusta, ci si dovrebbe fermare nell’età migliore, 45 anni per gli uomini, 35 per le donne, e portarseli per tutta la vita, però con la saggezza della maturità. L’idea di invecchiare ti dà una sorta di rifiuto della premura altrui: la figlia che si preoccupa se Lorenzo prende le medicine, è un atteggiamento che se non lo prendi con ironia, significa che sei vecchio, non autonomo. Lorenzo si stira le camicie, io non le stiro ma me le sono sempre lavate da solo, e quando non potrò più farlo starò male.

Possiamo definirlo un film autobiografico, quindi?
L’autobiografia sta nelle cose non dichiaratamente autobiografiche. Chi dichiara che un’opera è autobiografica sta mentendo, la vera autobiografia è quella un po’ traslata, mettere in scena non cose che ci appartengono fino in fondo, bensì i nostri timori e fragilità. Il sentimento di Lorenzo non è il mio, ma quello che penso sia il sentimento di un ultrasettantenne in rapporto ai figli.

La tenerezza ha la sua prima mondiale al Bif&st di Bari. Peccato non una vetrina come Cannes o Venezia…
Dopo sette volte a Venezia, con un Leone d’oro, e quattro volte a Cannes, posso dire che da questo film vorrei il pubblico. Lo abbiamo fatto con una tale onestà e carica di passione, amore e semplicità che siamo contenti non vada dato in pasto con altri quattro film al giorno. Ho fatto questo film per il pubblico, non per i premi.

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