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Lidia Terki • Regista

"C’è un linguaggio oltre la parola, e il cinema è fatto per questo"

di 

- L’algerina Lidia Terki, il cui Paris La Blanche ha avuto la sua prima al Black Nights International Film Festival, parla con Nisimazine del linguaggio universale del cinema

Lidia Terki  • Regista
(© BNFF)

La regista algerina Lidia Terki, il cui Paris La Blanche [+leggi anche:
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- un film che tratta dell’impatto dell’immigrazione e l’importanza della famiglia – ha avuto la sua première nella competizione opere prime del Black Nights International Film Festival di Tallinn, parla con Nisimazine del suo legame con la storia del film, il linguaggio universale del cinema e il suo percorso per diventare regista.

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Nisimazine: Quanto c’è di personale nella storia di Paris La Blanche?
Lidia Terki: Non ho un legame con la storia in sé, ma credo che ogni film sia legato al suo autore in un modo o nell'altro. Paris La Blanche è una storia di amore, umanità e identità. Sono nata in Algeria da padre algerino, ma vivo in Francia da quando ero piccola. Anche se è vero che gran parte della mia famiglia è algerina, la conosco appena e non parlo la lingua. E' molto strano se ci pensi. Non credo che quando si lascia il proprio paese, la propria cultura, i propri genitori o i propri figli si provino sentimenti positivi, anche se lo fai con la speranza di un futuro migliore.

Rekia è un personaggio molto forte che non ha bisogno di parlare per esprimere le proprie emozioni. E’ stato difficile guidare l’attrice verso una performance così sottile?
Tendo a credere che ci sia un linguaggio oltre la parola, qualcosa di sottile e istintivo, che non ha bisogno di discorsi per esprimersi e che può essere compreso da chiunque, indipendentemente dalla cultura. Il cinema è fatto per questo tipo di linguaggio. Attraverso di esso, è possibile concentrarsi su piccoli momenti che trasmettono un'idea, un'impressione o vari gradi di emozione. Il montaggio è il momento in cui è possibile aggiungere poche immagini extra che contengono questo linguaggio, che ha un impatto su di noi senza che ce ne rendiamo conto.

Per me, più è istintiva la recitazione, più è emotivamente espressiva. Ho notato che, molto spesso, ho semplicemente dovuto abbassare un po’ il ritmo. Una volta che il ritmo è impostato – ed è molto strano perché non riesco a spiegare perché quello sia il ritmo giusto per me – tutto avviene naturalmente con la recitazione.

Lei ha esperienza di lavoro in diversi settori della produzione cinematografica. Quando ha deciso di diventare una regista? Aveva considerato altri lavori prima di entrare nel cinema?
Quando avevo circa 12 anni, ho cominciato a capire che dietro un film c'era un regista, e ho realizzato che avrei potuto diventarne una. Questa idea non mi ha mai veramente abbandonata, ma non c'erano molte registe donne in giro. Ho fatto molti lavori diversi, ed erano solo modi per avvicinarmi al cinema, per capire cosa fosse un punto di vista e per affinare il mio punto di vista. Non potevo frequentare una scuola di cinema. Ho imparato strada facendo, dal primo momento in cui sono entrata nel cinema. Ho iniziato nel campo della scenografia che, per esempio, mi ha insegnato che cosa fosse un frame. Ho fatto un sacco di lavori in diverse case di produzione che mi hanno aiutato ad avvicinarmi alla cinepresa.

Ha qualche progetto in cantiere?
Sì, diversi, ma non so ancora cosa sarà fatto e come. E' rischioso ed esaltante allo stesso tempo, perché mi interrogo continuamente su ogni progetto. Ho un sacco di archivi personali, quindi dovrò farne qualcosa un giorno.

In collaborazione con

 

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(Tradotto dall'inglese)

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