email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

João Salaviza • Regista

"I corpi hanno una storia da raccontare"

di 

- Il cineasta João Salaviza, Palma d’Oro del cortometraggio, ci parla dell’esperienza di dirigere il suo primo lungometraggio, Montanha.

João Salaviza  • Regista

Con i riconoscimenti ottenuti dai suoi cortometraggi, come Arena e Rafa, João Salaviza è reputato uno degli autori europei più promettenti. Impermeabile alle pressioni e deciso a mantenere una certa distanza dai modelli di produzione industriali, il cineasta portoghese ha compiuto l’attesa transizione verso il lungometraggio con Montanha [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: João Salaviza
scheda film
]
. Ci parla del processo di creazione di questo film sull’adolescenza, in cui il caos e il tempo sono incorporati come elementi creativi essenziali.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Cineuropa: Come è nato Montanha?
João Salaviza:
All’inizio volevo mettere in immagini alcuni miei ricordi d’adolescenza, in modo strutturato e flessibile. Volevo vedere se riuscivo a realizzare un film ancorato a questi ricordi, una parte dei quali stavano già per allontanarsi nel passato. Ma il progetto ha cominciato a prendere forma solo quando ho incontrato David Mourato, l’attore principale. In questo senso, il film è più su di lui che su di me. Non è un film autobiografico.

Si era già concentrato su dei personaggi adolescenti in alcuni dei suoi cortometraggi. Perché questo interesse?
L'idea di filmare l’adolescenza e un corpo in trasformazione, un corpo sospeso tra la fine dell’infanzia e l’inizio dell’età adulta, richiede molta attenzione dalla cinepresa. Penso che la resistenza che si può trovare in un corpo sul punto di cambiare sia in fondo molto più interessante che fare, per esempio per un pittore, il ritratto di qualcosa di statico. Il corpo di David resiste sempre e tenta di scappare durante tutto il film, di sfuggire alle situazioni con cui il personaggio trova difficile confrontarsi, ma anche di sfuggire a qualcuno che sta cercando di filmarlo. All’inizio, c’era una sceneggiatura piuttosto vaga con qualche idea sul percorso dei personaggi, cui era associata qualche situazione che i personaggi andavano a sperimentare. Ma alla fine, è proprio verso la fine delle riprese che ho capito che David aveva compiuto un percorso invisibile lungo il processo. Mi sono reso conto che era veramente cambiato. Questo è stato possibile solo perché le riprese sono state spalmate su diversi mesi: ha avuto il tempo di evolvere.

L’approccio fisico la interessa di più di quello psicologico?
Credo che i corpi abbiano una storia da raccontare e il cinema è l’arte di filmare i corpi in movimento. Considero i dialoghi come l’estensione dei corpi. Durante le riprese, discuto sempre di cose molto concrete come il modo in cui un personaggio apre la porta, come si siede, come bacia, ecc. Prendiamo ad esempio l’ultima scena: è difficile per un giovane regista come me filmare le sensazioni di un ragazzo che ha appena perso la verginità. E’ cambiato quanto rientra a casa. Come si muove? Come posso catturare questa intensità e questa verità? Il corpo può essere eloquente. Come posso cogliere un certo stato senza parole? Nicholas Ray ha detto che la melodia è negli occhi. Sono totalmente d’accordo!

Il film si svolge in estate, ma la fotografia è sorprendentemente cupa…
Sì, e gran parte del film si svolge di notte. E’ paradossale perché questi giovani si rivelano solo la notte, come se l’oscurità offrisse loro la luce di cui hanno bisogno per apparire e mostrare chi sono veramente.

Perché ha mischiato attori professionisti e non?
Mi interessa la gente, indipendentemente dal fatto che siano o no attori professionisti. Quello che mi ha affascinato di Maria Joao Pinho e Carloto Cotta non ha niente a che vedere con quello che hanno imparato dalle scuole di recitazione. Credo, contrariamente a ciò che viene insegnato normalmente, che un film permetta di scoprire qualcosa di se stesso piuttosto che di essere qualcun altro. E’ la maschera del personaggio che permette all’attore di svelare se stesso. E penso che i grandi attori siano sempre stati se stessi e non si siano mai rifiutati di mostrare ciò che sono.

Le riprese hanno avuto diverse pause. Perché?
Penso che l'industria tenda a spingerti a fare un film in un modo che non è necessariamente il tuo. Ho capito che le interruzioni mi servono. Ho bisogno di entrare in un stato di caos e di auto sabotaggio, e ho bisogno per questo di dilatare al massimo il tempo trascorso con il cast. Ciò che mi interesssa veramente, è girare in un registro intimo. Voglio ascoltare le storie delle persone che filmo, e penso che il lavoro di un cineasta sia anche raccontare queste storie e non solo la propria. 

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dall'inglese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy