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Thomas Vinterberg • Regista

"Abbiamo cercato di fare un film il più pulito e puro possibile"

di 

Thomas Vinterberg si è fatto conoscere per aver diretto il primo film secondo le regole del Dogma, Festen, uno dei film danesi più importanti del decennio. Attratto da Hollywood, ha successivamente esplorato, in lingua inglese, diversi stili (con It’s All About Love [+leggi anche:
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scheda film
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e Dear Wendy) prima di tornare nel suo paese natale per dirigere When a Man Comes Home [+leggi anche:
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Con Submarino [+leggi anche:
recensione
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intervista: Thomas Vinterberg
scheda film
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, Vinterberg torna alle sue origini, a una narrazione e a una regia più semplici e dirette, così come gli è stato insegnato alla Scuola di cinema danese.

Ha dovuto far fronte a restrizioni finanziarie e di tempo, inoltre il canale danese TV2 ha chiesto che la metà degli attori e della squadra tecnica fossero debuttanti. Come ha vissuto questi vincoli?
Il budget, molto limitato, mi ha lasciato poco tempo; ho dovuto quindi decidere in fretta. Mi sono sforzato di restare semplice e, durante le riprese, abbiamo cercato di fare un film il più pulito e puro possibile, evitando ogni manierismo nel racconto del percorso sentimentale dei personaggi. Per quanto riguarda l'ingaggiare attori e tecnici debuttanti, l'idea mi è piaciuta. Ho trovato che fosse un'ottima occasione: la foga, la devozione e il cuore che mettono nel lavoro le persone all'inizio delle loro carriere si sono rivelate incredibili. Questa atmosfera mi mancava dal mio film di fine studi alla Scuola di cinema danese, prima dei tempi di Dogma. L'ho apprezzato molto.

Submarino è un dramma sociale duro. E' stato difficile raccontare una storia del genere senza alcun sentimentalismo?
Naturalmente, sono stato tentato di ricorrervi. Avevo interi CD di musica con strumenti a corda. Ma l'effetto sarebbe stato esagerato. Chiaramente, avevo paura di fare un film troppo cupo, talmente cupo che la gente lo avrebbe rifiutato. L'umorismo e il sentimentalismo hanno il pregio di aprire il pubblico. Ma noi non ce ne siamo serviti molto.

Come ha lavorato con gli attori, con così poco tempo per girare?
Abbiamo avuto un po' di tempo prima. Ho fatto molte prove e ricerche con l'autore. In un certo senso, abbiamo provato a distruggere le barriere tra noi e loro (i fratelli nel film). Jakob Cedergren (che interpreta Nick) ha passato del tempo con ex detenuti. Io ho preso una camera all'ostello dove abbiamo girato il film. Ho chiamato un ex compagno di classe che è stato eroinomane per vent'anni per chiedergli: "Come si fa? Perché? Mostrami dove succede. Quanto costa?". Lui ha smesso solo tre anni fa, quindi mi ha potuto spiegare nei dettagli tutto il processo. C'era molta curiosità in me, e quasi un'attrazione per questo ambiente. Per noi registi, la curiosità è il motore più grande. Quanto al dirigere i giovani attori, ho dovuto creare un ambiente in cui si sentissero al sicuro, ho dovuto imparare a conoscerli e poi dir loro cosa fare. Ho dovuto insegnare ai ragazzi come stare a proprio agio con un bambino piccolo, come fumare e poi come non fumare.

Direbbe che questi due fratelli sono torturati dalla società?
Il film parla di due fratelli che cercano di riemergere, di scappare dal destino che la società gli riserva e dalla loro madre. Due elementi mi hanno colpito quando ho letto il libro: la fratellanza e la paternità. Da genitore, si teme di non essere in grado di occuparsi dei propri figli. All'epoca, ero solo con i miei figli, per la prima volta; è per questo che questo racconto ha avuto un impatto così forte su di me. E poi, in una famiglia moderna, anche se non ci sono problemi tra i suoi membri, la vita sembra allontanarci dolcemente gli uni dagli altri. Nel film, i fratelli sono separati dalla vita e dalla struttura del film. Quando si ritrovano, forse è troppo tardi.

E' stato piacevole realizzare un film in danese, dopo averne girati tanti in lingua inglese?
La lingua, per me, non ha importanza. Ciò che conta, è il paese per cui si scrive. L'inglese è universale. Ho fatto film in danese. In questo momento, sto lavorando a un pièce teatrale che andrà in scena in Austria. Detto questo, mi è piaciuto molto ritrovare il danese, la lingua che utilizzavo durante i miei studi di cinema.

Il Dogma è morto?
Completamente... fino a quando qualcuno non farà un nuovo film secondo il Dogma. Per me, è totalmente finito. Era una rivolta contro qualcosa, e poi è diventato una moda, quindi il Dogma è morto. In Danimarca, alla fine degli anni '90, trovavi l'arredamento "Dogma". Ora, è obsoleto.

La Danimarca sembra attraversare una crisi: i film non vanno bene come prima e l'industria mette in discussione il sistema sul quale essa stessa riposa. Che cosa ne pensa?
Si può discutere se la crisi sia dei film danesi o del pubblico danese. Dopo essere stato molto solido e autosufficiente, persino arrogante, negli anni '90, il cinema danese è ora vulnerabile. E' sempre così. La mia carriera è così. Ma dal mio punto di vista, è ancora più interessante: ci sono registi bravi che brancolano un po' nel buio, esplorano e trovano nuove strade, e questo è un bene. Ma ci sono anche volte in cui si ha bisogno di sostegno, in cui ci si sente più deboli. In questo momento, la Danimarca cerca di ridefinire se stessa.

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