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Tereza Kotyk • Regista

“Casa è qualcosa che troviamo dentro di noi”

di 

- La regista austriaca Tereza Kotyk ci parla del suo primo lungometraggio, Home is Here, in concorso al 18° Festival del cinema europeo di Lecce, un dialogo a distanza minimalista e poetico

Tereza Kotyk • Regista
(© Vittoria Scarpa)

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è il primo lungometraggio della regista e sceneggiatrice austriaca, di origine ceca, Tereza Kotyk. Il film racconta in modo minimalista e poetico il (non) incontro tra due anime solitarie. Hannah è tornata temporaneamente a vivere con la madre e il fratellino nel Villaggio Olimpico di Innsbruck. Un giorno si introduce di nascosto nella casa di Max, che vive da solo in una villa moderna e fredda. Ci tornerà tutti i giorni: tra i due si instaura così una strana forma di comunicazione a distanza. Il film è stato proiettato in concorso al 18° Festival del cinema europeo di Lecce.

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Cineuropa: Come è nata la storia di questo (non) incontro?
Tereza Kotyk: Non ho scelto io il soggetto, è venuto da sé. Ero uscita per una passeggiata e quando sono tornata ho scritto la storia in trenta minuti. Ero appena tornata dall’Inghilterra, mi ero trasferita in un posto molto piccolo vicino alle montagne, dove la gente dialogava molto poco. Ero incuriosita da come si può ridurre al minimo il linguaggio e avere delle relazioni. All’inizio pensavo che fossi io che non riuscivo a comunicare, ma poi ho capito che molta gente, specialmente quella ricca, vive in una specie di campana di vetro, inscena la propria vita e cerca di evitare relazioni profonde.

Ero rimasta inoltre colpita dal Villaggio Olimpico di Innsbruck, di cui i cittadini vanno fieri. Ma nessuno di loro vive lì, solo i migranti. Da una parte sei orgoglioso di un posto, ma dall’altra non ci vivresti mai. Ho pensato che dovevo addentrarmi in questi due estremi. C’è una comunità cittadina, molto densa, e poi i sobborghi dove ci sono case meravigliose, tanti soldi, ma dove non c’è comunicazione, dove è abitudine quotidiana andare al lavoro, tornare a casa e fare sport. Ma in questo modo, quando hai la possibilità di avere relazioni? Perché, invece di fare sport, non esci a cena e ti fai una chiacchierata?

Chi è Hannah, la giovane protagonista?
Hannah è un tipo specifico, volevo concentrarmi su questo genere di famiglie di migranti. Mi interessavano soprattutto gli effetti della migrazione, quando perdi il linguaggio comune con i tuoi genitori perché sei cresciuto in un altro paese. Come me, che sono cresciuta in Austria ma ufficialmente la mia lingua madre è il ceco. Eppure, posso esprimermi bene in inglese, bene in tedesco, ma non nella mia prima lingua. Quindi, cos’è la prima lingua? Cosa significa essere a casa? E’ difficile per i migranti di varie generazioni, ma anche per chi è del posto, perché non direi che siccome hai una bella casa, ti senti a casa.

Che cosa spinge Hannah a entrare nella casa di Max per la prima volta?
L’attrazione per ciò che vede, un’immagine molto affascinante. Tendiamo a vivere di proiezioni, proiettiamo qualcosa nelle nostre relazioni, nei nostri figli, nel lavoro, è difficile non farlo. Poi c’è il superare i confini per trovare il proprio territorio. Hannah entra in un territorio nuovo per trovare se stessa. Per scoprire alla fine che non era poi così necessario, perché se hai fiducia in te stessa e affronti i conflitti che hai dentro di te, trovi la libertà. Ma così facendo, porta anche Max ad aprirsi, perché quella casa è quasi una prigione emotiva per chi ci vive.

E che cosa spinge Max a stare al gioco?
Lui è distratto, un uomo ci mette più tempo a capire quello che ha davanti. Max conserva in questa casa il passato con la sua ex fidanzata, per questo tiene tutte le sue cose in una scatola. La prima cosa che pensa è: deve essere lei che è tornata, che vuole rientrare in contatto con me. Pensa questo perché lei ha le chiavi, non sospetta che si possa entrare dalla terrazza, non riesce a vedere le cose da un’altra prospettiva. A volte gli uomini non vedono le cose buone che gli capitano. Per esempio, la sua assistente in ufficio: una donna bellissima, fantastica, con un carattere forte, e lui non realizza che potrebbe essere sua.

Non sappiamo quasi nulla del passato di Hannah. Perché?
Nella realtà di tutti i giorni non sappiamo le motivazioni della gente, cosa accade veramente a una persona, possiamo solo avere esperienza di quello che la persona è adesso, ed è quello che cerco di fare con lei. Hannah è tornata in famiglia, sta lottando, è forte e sta cercando di seguire il suo cammino, vuole raggiungere qualcosa. Sta preservando qualcosa di se stessa, così come sta facendo Max. In realtà sono molto simili, hanno desideri affini.

E’ stato difficile trovare la casa di Max? Era proprio quella che aveva in mente?
La casa che avevo in mente era completamente diversa, ma alla fine non abbiamo potuto utilizzarla. E’ stato un problema, perché questo film non ha molti dialoghi, ma tanti movimenti, seguiamo continuamente il personaggio all’interno della casa. Alla fine, avendone una diversa, abbiamo riscritto la sceneggiatura perché bisognava muoversi in modo diverso. Avevamo solo 21 giorni di riprese e bisognava essere molto precisi su come girare il film.

Infine il titolo: Home is Here. Dov’è casa, secondo lei?
Credo che sia qualcosa che troviamo dentro di noi. E’ facile dire che casa è dove ti senti bene. Io dico sempre che la mia casa è dov’è il mio lavoro, o dove mi portano i miei progetti, perché sono in sintonia con essi. Casa non sempre è il luogo che abitiamo fisicamente, ma uno spazio psicologico.

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